Sembra uno stallo ma è un piano inclinato. E la direzione punta dritta su un paio di date 25 settembre, ancora meglio 2 o 9 ottobre: sono le due domeniche che potrebbero chiamare al voto gli italiani per votare i componenti della XIX legislatura. Perché quella attuale, la fatidica e inarrivabile XVIII, cesserà di essere più o meno intorno alla fine di luglio. Votare e uscire da questo pantano creato ad arte dal Movimento 5 Stelle e “nello specifico da Giuseppe Conte” sembra essere l’unica bussola che guida le mosse di palazzo Chigi e del presidente Draghi. Che ha dato cinque giorni di tempo per “giocare” i famosi “tempi supplementari” indicati dal ministro leghista Giorgetti. Le condizioni per andare avanti sono note: governo con i 5 Stelle e senza più condizioni continuamente sollevate che hanno l’unico scopo di logorare e indebolire l’azione di governo.

Draghi è stato chiaro e non intende retrocedere da quanto ha detto: “Non ci sarà un Draghi bis senza i 5 Stelle (paradossalmente necessari anche per bilanciare da sinistra le pretese del centrodestra, ndr). Il governo va avanti finché può lavorare. Altrimenti fine dell’esperienza di questo governo”. Il resto è, come deve essere, nelle mani del Presidente della Repubblica che ha ottenuto di parlamentarizzare una crisi extraparlamentare (Draghi non è mai stato sfiduciato, anzi). Ma le condizioni non cambiano. L’aggravante, che ha fatto precipitare tutto, è che il non voto dei 5 Stelle sul decreto Aiuti ha “rotto quel patto di unità e compattezza che in questi diciassette mesi ci ha fatto raggiungere risultati importanti”. Si tratta quindi di leggere e analizzare ogni movimento e segnale in arrivo in queste ore dalle varie forze politiche. Prima di tutto dai grillini.

In superficie c’è molta tattica e pretattica, da parte di tutti. Governo compreso. In Campo Marzio, la strada nel cuore di Roma dove ha sede il Movimento 5 Stelle, si aggiungono anche i teatrini. Il Consiglio nazionale del Movimento è ormai convocato in forma permanente, un po’ in presenza e l’altro po’ a distanza. Conte fa la spola dalla sua abitazione distante poche decine di metri e la sede del Movimento. Dal portone entrano ed escono capigruppo e ministri. Il tema ieri, almeno fino all’ora di pranzo, sono stati proprio i tre ministri D’Incà, Patuanelli e Dadone e i sei sottosegretari e le rispettive dimissioni. Conte avrebbero spiegato che non si può più traccheggiare e che il momento chiede il sacrificio dei loro incarichi. È mezzogiorno quando le agenzie di stampa battono con le stellette dell’urgenza la notizia che “Conte valuta il ritiro dei ministri”. Il tempo di verificare l’indiscrezione, che pare vera e fondata, e da palazzo Chigi filtra un commento: “Se così è anche inutile aspettare mercoledì, le dimissioni di Draghi diventano irrevocabili”. Passa un’altra oretta e la notizia fa retromarcia. I ministri Patuanelli e D’Incà, Agricoltura e Foreste e Rapporti con il Parlamento, fanno filtrare che il tema delle dimissioni non è sul tavolo. E che è “giusto votare la fiducia al governo Draghi. Noi non abbiamo condiviso un decreto ma non l’azione del governo”.

Il tema resta sul tavolo. Ed è il vero nodo di queste ore. Tanto che anche nel tardo pomeriggio Luigi Di Maio insiste: “Se Conte ritira i ministri dal governo Draghi di fatto si va allo scioglimento delle Camere, non ci sarà nessuna possibilità di mandare avanti il governo. Io lo voglio dire ai cittadini molto chiaramente: questa crisi avrà effetti pesanti”. Il tema dimissioni è dunque la cartina di tornasole della crisi di governo. E non è un caso se in queste ore rimbalzano sui social alcuni “errori”. L’ex sottosegretario del Conte 1 e 2 Riccardo Fraccaro, fedelissimo di Di Maio che però è ancora nel Movimento ha pubblicato su whatsapp un fotomontaggio con l’immagine del leader della Lega in versione dj al Papeete nell’estate del 2019, quando decise di staccare la spina al governo gialloverde. Al posto del volto di Salvini, a torso nudo e con un bicchiere di mojito in mano, c’è però quello di Conte. Ora se c’è una cosa che Conte teme come la peste è che si addossi a lui la crisi e il voto anticipato. “E’ stato un errore” ha spiegato Fraccaro che formalmente è ancora nel Movimento.

Lo sforzo principale dell’ex premier e ei suoi fedelissimi è proprio liberarsi dal rischio “Papeete di Conte” e trasformarlo nel “Papeete di Draghi”. Il Presidente del consiglio lo sa e farà di tutto per evitarlo. Il giorno prima era stata la ministra Dadone a finire in un fotomontaggio. E raffigurata in versione contestatrice di Femen al cospetto di Mario Draghi. La vignetta era stata postata dal compagno della ministra Ergys Haxhiu in vista del Cdm di giovedì. Cn questa didascalia: “Il Consiglio dei ministri come lo immagino io”. Peccato che Dadone sia la più convinta nel dire no alle dimissioni. Per non parlare dei sottosegretari. Ma se non ci si dimette non si può aprire una crisi di governo. Un altro luogo da monitorare è certamente il Quirinale. E le sedi di governo delle grandi capitali. Draghi, si spiega, potrebbe essere molto sensibile al richiamo dei leader europei, Usa e non solo. In queste ore i russi stanno brindando alla sua uscita di scena. Johnson dimissionario, Macron azzoppato, Biden alle prese con la scadenza molto difficile del mid-term, Draghi dimissionario: cosa resta del grande blocco europeo ed atlantico anti Putin e in favore delle democrazie? Insieme a quello dei mercati, della borsa e dello spread, il richiamo dei paesi stranieri e il rischio di indebolire il suo standing potrebbe essere un ottimo motivo per andare avanti anche senza 5 Stelle.

L’appello arrivato ieri da Bruxelles, “Mr Draghi, stay”, va esattamente in questa direzione. Così come la petizione di Italia viva. E gli appelli a tappeto in arrivo dal Pd e dai centristi. I colloqui Draghi-Mattarella sono coperti dal massimo segreto. Qualche spiffero però esce sempre. Per fortuna. Si dice che il Capo dello Stato abbia persuaso Draghi a provarci di nuovo. Anche a condizioni meno rigide rispetto a quelle previste. Ad esempio andare avanti anche senza i 5 Stelle. L’invito è a guardare alla formazione di Di Maio dove stanno affluendo giorno dopo giorno deputati e senatori. Non è un caso che il ministro della Difesa abbia iniziato a definire il Movimento “il partito padronale di Conte” e a rivendicare alla sua formazione “l’eredità del vero Movimento”. Per Draghi la presenza del Movimento nel suo esecutivo è decisiva. Fa la differenza. E lui può governare solo se questa eccezione resta in vita.

Intanto il governo resta in carica con pieni poteri. Dettaglio fondamentale. Tanto che, se la situazione dovesse precipitare senza trovare una nuova sintesi, gli uffici del Colle potrebbe ragionare sullo scioglimento ritardato delle Camere per far stare alla guida un premier e un governo con pieni poteri perché mai sfiduciato. Questo timing, ad esempio, darebbe la possibilità a Draghi di approvare entro fine luglio il decreto Aiuti bis. Si tratta di una misura su cui stanno lavorando il sottosegretario Garofoli e il ministro Franco, un altro pacchetto di miliardi, ottenuti senza scostamento di bilancio, per tamponare quell’inflazione al 10% che piega le gambe alle famiglie e alle imprese. Un decreto dove dovrebbe esserci una forma di price cap per calmierare i prezzi di gas, luce e petrolio. E molto altro per aiutare le famiglie in difficoltà e i lavoratori. Un decreto atteso, che può essere varato solo da un governo con pieni poteri. Poi si tratta di calcolare bene i tempi della conversione, da fine luglio si andrebbe a fine settembre, in tempo ad esempio per votare la prima o seconda settimana di ottobre. E anche per preparare almeno la cornice della legge di bilancio che deve essere presentata alla Camera entro il 15 ottobre. Il nuovo governo non avrebbe il tempo di farlo e rischierebbe l’esercizio provvisorio.

Ma siamo andati troppo in là. Occorre vivere alla giornata. Intanto ieri Draghi è stato in Campidoglio per rendere omaggio all’amico Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica morto a 98 anni. Lunedì sarà in Algeria, viaggio importantissimo per aumentare le forniture di gas e non solo. Draghi ha deciso di accorciare il viaggio “insieme ai suoi ministri” e di tornare a Roma lunedì sera. Anche il Quirinale ha cancellato impegni istituzionali previsti per martedì e mercoledì. Il piano della crisi di governo è, appunto, molto inclinato e verso una direzione sola. Poi, certo, la ragion di Stato alla fine può sempre prevalere. Ma un governo senza i 5s sarebbe sotto ricatto perenne della Lega. E schiaccerebbe il Pd. Draghi lo sa. E lo vuole evitare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.