Con il non-voto dei grillini a Palazzo Madama la frattura politica nella maggioranza esplode ed è inutile la strada della ricucitura per far sopravvivere un non-governo. Le elezioni in autunno sembrano a questo punto una soluzione ragionevole e senza alternative solide. Il Pd difficilmente potrà partecipare ad un governo con la destra e senza il M5S dentro. Sarebbe non più un governo di larga coalizione ma un esecutivo politico con convergenze anomale e quindi molto costoso da sostenere in termini elettorali.
Gli eventi hanno imposto temi di grande politica (misure sociali, la guerra) incompatibili con un Parlamento dissolto nella piccolissima politica scandita da operazioni di micro-scissione, di invenzione di pseudo-partiti personali. Il voto non è mai un problema e anzi, se lo scontro tra gli schieramenti si svolge in condizioni che garantiscono la libertà e la contendibilità della scelta, può essere una opportunità per ricaricare una rappresentanza spenta, con Camere da tempo non più rappresentative.

Oggi l’emergenza non è nel voto anticipato di qualche mese, ma nella stanca continuità di una legislatura che non ha più vincoli programmatici, mandati politici espliciti, un rapporto effettivo con la volontà popolare. Perché le urne non siano un passaggio rituale destinato all’ennesimo tradimento del necessario legame programmatico, che lascerebbe irrisolti i nodi del mandato politico che struttura il tempo di una legislatura, servirebbe però che le enormi linee divisorie emerse in Aula si presentassero come tali dinanzi all’opinione pubblica. Se l’appello al popolo vedesse la Lega e Fratelli d’Italia di nuovo coalizzati, ciò significherebbe una pratica ingannevole del raccoglimento del voto. Già in partenza il rapporto politico sarebbe istituito su basi del tutto insincere, con il ritrovato di una coalizione fittizia che attrae il sostegno popolare per partiti unificati nei collegi ma che mostrano di possedere delle incompatibili letture delle relazioni internazionali, delle sanzioni, della guerra in Ucraina. Un tale assorbimento del voto nulla avrebbe a che fare con il consenso. Il voto, raccolto da coalizioni con distanze irriducibili tra i componenti, avrebbe scritto, già nel conferimento della preferenza del cittadino, una libertà di tradimento del mandato da parte dell’eletto.

Sarebbe una profonda distorsione della rappresentanza, che nulla ha a che vedere con l’autonomia del deputato nello svolgimento libero e indipendente della funzione parlamentare. La stessa perversione del rapporto politico-rappresentativo, tramutato in una completa autoreferenzialità degli eletti rispetto alla consapevole volontà popolare misurata su programmi diversi, si avrebbe qualora la coalizione alternativa alla destra vedesse insieme sotto una bandiera unica i simboli del Pd e del M5S.
Le fratture emerse così chiaramente sulla guerra, il reddito di cittadinanza, il superbonus edilizio, lo ius scholae, i termovalorizzatori sono incompatibili con il ritrovato di una ingannevole convergenza elettorale siglata tra forze molto divise e prive in radice di un legame politico effettivo, di una solidarietà reale dinanzi alle sfide. La legge elettorale, che prevede una quota di collegi uninominali, non può essere l’alibi per travolgere il nesso con l’istruttività del voto popolare attraverso ammucchiate che conteggiano in uno stesso simbolo le schede per visioni tra loro antagoniste.

I collegi maggioritari non obbligano affatto i partiti a ricorre a delle coalizioni mistificanti. In Regno Unito non esistono coalizioni, eppure i collegi di Westminster sono tutti uninominali e maggioritari. Dinanzi a distanze politiche così nitide, che misurano il divario programmatico enorme esistente tra Salvini e Meloni, tra Conte e Letta, il voto avrebbe un significato dirimente soltanto se ciascuna forza si presentasse da sola o con coerenti aggregazioni (sarebbe comprensibili, in tal senso, un’offerta elettorale aperta all’intesa tra Lega e Forza Italia, alle convergenze delle sigle liberaldemocratiche, alle prove di sintesi dei raggruppamenti delle sinistre ostili alla guerra). Solo in presenza di una offerta politica non ingannevole, e quindi nel coerente rifiuto di ricorrere alle carte truccate e mistificanti delle coalizioni Brancaleone, il voto anticipato avrebbe un connotato risolutivo dei contrasti emersi su temi molto qualificanti.

Per curare una politica malata di trasformismo endemico non ci sono alternative al voto, che rompe gli argini, fa saltare le acque stagnanti del pantano del nomadismo parlamentare più sfacciato. Ma anche il voto, per risultare efficace, andrebbe curato dalla malattia mortale che da tempo lo accompagna: campi larghi di sconfinate coalizioni che non reggono dinanzi alle fratture reali. E ciò richiede partiti che si presentano in autonomia dinanzi ai cittadini, senza le maschere che giustificano l’imbroglio di coalizioni insincere e truffaldine. Con il sacrificio di Conte che elimina in radice il problema della grande alleanza progressista, anche a destra il percorso verso autonome liste di partito potrebbe essere incentivato.