Una crisi che costa in credibilità del Paese e soprattutto a livello economico. Il caos provocato nel pomeriggio di giovedì dal mancato voto di fiducia del Movimento 5 Stelle al Senato sul Decreto Aiuti, con l’uscita dall’Aula dei pentastellati di Giuseppe Conte per non dare l’ok alla norma sul termovalorizzatore, ha già innescato una reazione sui mercati.

Le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi, rifiutate dal capo dello Stato Sergio Mattarella che ha rimandato il premier in Aula mercoledì, dove la crisi sarà parlamentarizzata, ha generato smottamenti importanti. A partire dallo spread, il differenziale di rendimento tra i Bund tedeschi e i Btp italiani decennali, che ieri ha chiuso al 220 e col rendimento dei titoli italiani salito al 3,34%, o dalla Borsa di Milano, maglia nera d’Europa ieri che ha bruciato 17 miliardi di euro.

L’altro segnale di allarme dal mondo della finanza globale arriva dai Cds, i Credit Default Swap diventati tristemente noti durante la crisi dei subprime americani del 2007. Si tratta, in sostanza, di strumenti finanziari che possono essere paragonati a “polizze assicurative” contro il rischio di default di un Paese. Nella giornata di ieri, come fa notare il Sole 24 Ore, il premio è aumentato da 72 a 77 punti base, un segnale non incoraggiante per il ‘sistema Paese’.

Ma le conseguenze più gravi della crisi innescata da Conte e dai suoi saranno per le tasche degli italiani, già alle prese con una inflazione galoppante, il caro carburanti ed energia, l’aumentare del costo dei mutui causato dai tassi di interesse rialzati dalla Banca centrale europea.

A fine luglio il governo Draghi era atteso infatti a nuovi provvedimenti di sostentamento economico delle famiglie italiane. In particolare era in programma un decreto per tagliare i costi delle bollette ai meno abbienti, la proroga dello sconto di 30 centesimi sulle accise della benzina, in scadenza il 2 luglio.

Ma soprattutto la maggioranza avrebbe dovuto discutere dell’atteso taglio del cuneo fiscale, una misura che avrebbe potuto portare nelle tasche degli italiani tra i 100 e i 150 euro in più al mese. Scomparirà, con le dimissioni di Draghi, anche l’ipotesi di introdurre il salario minimo, battaglia proprio dei 5 Stelle che l’esecutivo col ‘no’ alla fiducia al Dl Aiuti hanno messo in crisi.

‘Last but not leaest’, come si direbbe nei paesi anglofoni, la questione del Pnrr. Se nel primo semestre il governo è riuscito a conseguire 45 dei 100 traguardi previsti per l’anno 2022, senza una guida salda a Palazzo Chigi il rischio è di non riuscire entro il 31 dicembre ad andare a Bruxelles con tutte le carte in regola: a rischio c’è una tranche di aiuti da 22 miliardi di euro.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia