Draghi è diventato presidente del Consiglio perché da più parti si evidenziava la necessità di una guida più autorevole per il governo in un momento delicato in cui si doveva gestire l’uscita dalla pandemia e l’impiego degli ingenti finanziamenti europei. È stato preferito a Conte. Eppure Conte, al momento dell’uscita da Palazzo Chigi, era decisamente popolare.

Si parlava di lui come leader del nascente schieramento, una nuova sinistra giallorossa. In ogni caso, era una “Riserva della Repubblica”. Poi, il professore, invece di ritornare in università e nel suo studio legale, si è imbarcato nell’avventura di guidare il Movimento Cinque Stelle. La sua popolarità a questo punto è crollata e anche la sua leadership è andata in frantumi.

Colpa della ingovernabilità strutturale del movimento, o colpa di Conte? Entrambe le cose. Con una prevalenza di responsabilità da attribuire a Conte. Il Movimento Cinque Stelle nasce come forza che voleva essere rivoluzionaria. Conte è tutt’altro che un rivoluzionario.

È l’uomo dei bizantinismi. Quando parla sembra che dica tutto e il contrario di tutto. Inoltre tentenna spesso, mutuando antiche pratiche della tanto vituperata Prima repubblica. I condottieri rivoluzionari, invece, tracciano la strada e sanno dove portare i loro eserciti.

In questa crisi Draghi lo lascerà comunque con il cerino in mano. A parti invertite, insomma, sarà il protagonista di un altro “Papeete”.