Nel Movimento 5 Stelle continua a regnare il caos tra le varie fazioni, mentre oggi Giuseppe Conte torna a riunire il Consiglio Nazionale, saltato in extremis nella serata di ieri. Una decisione sul ritiro dei ministri che fanno parte della squadra di governo non è ancora arrivati, anzi, nella giornata di venerdì lo stesso leader ha dovuto smentire di aver chiesto a ministri e sottosegretari di uscire dall’esecutivo.

Una questione questa che, assieme ad un possibile voto di fiducia mercoledì a Draghi, quando il premier tornerà alle Camere per ‘parlamentarizzare’ la crisi, divide i gruppi pentastellati. La maggioranza, secondo calcoli interni del 70%, è a favore di una linea dura: un gruppo rappresentato in particolare dai vicepresidenti Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa, Mario Turco e Paola Taverna.

Dall’altro lato chi chiede invece ulteriori valutazioni, l’ala più ‘governista’ tra coloro che non hanno seguito gli scissionisti passati in ‘Insieme per il futuro’ del ministro degli Esteri: tra questi vi sono in particolare i ministri Patuanelli e D’Incà, oltre alla sottosegretaria Todde, l’ex ministro della Giustizia Bonafede e l’ex sindaca di Torino Appendino.

Ma nel dibattito interno ai 5 Stelle a far clamore sono le nuove dichiarazioni di Domenico De Masi, professore di sociologia della Sapienza di Roma e coordinatore scientifico della scuola di formazione grillina.

In una intervista a Repubblica De Mais, che nelle scorse settimane aveva innescato la prima crisi tra Conte e Draghi parlando di presunte pressioni del premier su Draghi per cacciare Conte dal Movimento, sostiene che la rottura ormai sia definitiva o quasi.

Draghi che Conte vorrebbe far cadere per recuperare consenso, spiega De Masi, che cita l’ex pasdaran Di Battista e i sondaggi. “Se ora esce dal governo e fa rientrare Di Battista, Conte recupera anche 2-3 punti. Non sarebbe un’operazione stupida. Vale anche per la Raggi. Ha bisogno di un’anima movimentista, come c’era nel Pci”.

Conte insomma dovrebbe fare “quello che fece Berlinguer, con l’appoggio esterno. All’inizio di questo governo avevano ancora un bel gruzzolo di deputati e senatori su cui contare”.

Per il sociologo “lo strappo si è consumato per via di una conflittualità latente che c’era fin dalla nascita di questo governo, che è nato contro quello di Conte. Da allora 5 Stelle, che erano crollati dal 33% delle politiche al 18-19%, ma che avevano mantenuto questa percentuale per la ventina di mesi del Conte II, oscillando un po’ forse, ma restando lì, con il governo Draghi hanno invece ripreso a precipitare fino al 12. Credo che questo sia stato uno degli elementi che ha spinto Conte ad addivenire a questa decisione”.

Avatar photo

Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia