E al quarto giorno la crisi di governo vira verso una soluzione. Di continuità e non di rottura. Lo dicono alcuni indizi. Tecnici, quasi formali ma invece sostanziosi assai.
Nell’ordine: circa 25 parlamentari, il capogruppo alla Camera e un ministro M5s voteranno mercoledì la fiducia a Draghi, andranno in dissenso rispetto alle decisioni di Conte, faranno gruppo a sé oppure approderanno nel gruppo di Di Maio; si tratta del fatto politico che dovrebbe rimuovere l’ostacolo più ingombrante sulla strada della prosecuzione del governo Draghi, ovverosia i 5 Stelle saranno in maggioranza a prescindere dal nome che portano; mercoledì è stato autorizzato, anche da Draghi, il voto di fiducia con chiama nominale dopo le comunicazioni del Presidente del Consiglio. Significa che la porta per trovare una soluzione è stata aperta. Se la crisi fosse irreversibile e le dimissioni irrevocabili l’autorizzazione al voto non sarebbe stata data con questo anticipo.
Ma andiamo con ordine che la giornata è lunga e le dinamiche in corso moltissime.

In Algeria per le scorte di gas. E non solo
Mario Draghi ieri è stato in Algeria a firmare contratti di forniture gas e non solo che ci potranno garantire un inverno meno angosciante del previsto. Pur dimissionario, per quanto congelato, ma con pieni poteri sta facendo il suo lavoro che è quello di occuparsi del Paese. Mezzo governo è con lui ma “guai a parlare di affari interni”. La Sfinge sa essere e tornare tale quando serve. Gli indizi quindi arrivano dall’Italia, dal Parlamento, dalle istituzioni, dalla società civile, dai sindaci e di governatori, dagli studenti, persino dalla Cei e dai sindacati. Dice bene Osvaldo Napoli, deputato di Azione: “È la prima volta che il popolo va in piazza a difesa del governo”. In effetti, al di là dei numeri delle manifestazioni che scontano l’improvvisazione e la fretta, non se ne ha memoria. Draghi al momento registra e mette in fila. Non può fare altro visto che “il patto di fiducia che teneva insieme la maggioranza è stato rotto e quindi sono venute meno le condizioni stesse per governare e fare cose”.

L’ha rotto Giuseppe Conte che giovedì ha chiesto ai gruppi parlamenti di non votare il decreto Aiuti. L’ha umiliato, quel patto, lo stesso Giuseppe Conte che anche sabato sera ha pensato bene di dare nuovi ultimatum a Draghi (“vogliamo, pretendiamo, risposte certe sulle nostre richieste”) senza rendersi conto che quel tempo è scaduto per sempre. L’hanno rotto tutte quelle forze politiche, a cominciare da Lega e 5 Stelle che su ogni dossier ormai dallo scorso autunno ingaggiano battaglie e rivendicazioni di parte. Governare è faticoso, su questo se n’è fatto una ragione anche il premier-tecnico. Ma non può essere che uno passa le giornate a ricostruire quello che altri, che ti dovrebbero dare un mano, smontano durante la notte.

La riunione dei capigruppo
Gli indizi più importati arrivano dalla conferenza dei capigruppo della Camera ieri a mezzogiorno. Qui succede che Davide Crippa, capogruppo M5s alla Camera, chiede l’inversione del voto, cioè che Draghi tenga le comunicazioni prima a Montecitorio e poi a palazzo Madama. La richiesta sarà respinta. Ma dietro il tecnicismo la mossa è chiara: Presidente vieni prima alla Camera dove assisterai ad un fatto politico importante, una nuova scissione del Movimento 5 Stelle, un gruppo di parlamentari che crede che le battaglie si facciano dall’interno e non sparando a pallettoni dall’esterno. Si tratta in effetti del “fatto politico” che palazzo Chigi auspica da giorni per tenere a bordo il Movimento, a prescindere da come si chiamerà. È anche il modo più lineare per superare e rendere irrilevanti i continui boicottaggi dell’ex premier Conte ormai un “traditore inaffidabile” agli occhi di molti anche nelle istituzioni perché nei colloqui riservati con Draghi e con il Quirinale aveva promesso che mai avrebbe aperto una crisi.

È importante notare come Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera, abbia sostenuto la richiesta di Crippa. Significa che il Pd ha intenzione di dialogare con il Movimento di Di Maio e di Crippa che ha molto da dire, da ingegnere, su come fare per calmierare i prezzi del comparto energia. Da notare anche come i capigruppo della destra di governo non si siano opposti alla richiesta di Crippa. Molinari, il capogruppo del Carroccio, non c’era perché ancora in volo. Il suo delegato aveva indicazioni di opporsi. Se è stato un lapsus – come pare vista la nota durissima vergata nel primo pomeriggio da Molinari contro “i giochetti di palazzo e il piano per blindare Draghi” – c’è da capire cosa vorrà veramente fare domani il centrodestra di governo. Il problema, lato loro, è sempre lo stesso: Meloni sta comodamente fuori a sparare contro il governo crescendo nei consensi mentre loro a fare i responsabili non ci guadagnano un granché.

La mossa di Crippa
La mossa di Crippa dovrebbe avere un suo punto di caduta già oggi con la presentazione di un documento con i nomi di coloro che voteranno la fiducia a Draghi. E comunque per il capogruppo sembra impossibile tornare indietro: ieri pomeriggio è stato attaccato da Conte in assemblea congiunta – sempre la stessa che si convoca e sconvoca da venerdì senza decidere mai nulla -, “non avevi avvisato” lo ha puntato l’ex premier dando così la stura al veleno dei colleghi senatori. “Dall’opposizione non migliori la vita a nessuno. Fai solo propaganda” ha replicato Crippa confermando la sua linea per votare la fiducia e continuare l’esperienza Draghi.

Chiuso, per ora il capitolo nuova scissione M5s, gli altri indizi a favore di un soluzione positiva della crisi (no quindi al voto anticipato) arrivano appunto dal centrodestra. Berlusconi ieri è arrivato a Roma. “Avanti il governo Draghi senza i 5 Stelle” è stato il refrain di questi giorni in cui Salvini e Berlusconi si sono mossi con una voce sola, compatti. Per Forza Italia il “problema” si potrebbe già risolvere con i 25 grillini che si staccano alla Camera e l’evidenza che quello che resta non è più il Movimento ma “il partito di Conte con cui non vogliamo avere nulla a che fare”. A metà pomeriggio ieri sono saltate fuori richieste di rimpasto. A questo punto si dovrebbero liberano due posti da ministro (Dadone e Patuanelli che restano con Conte) e qualcuno dei sei posti da sottosegretario. Salvini ha riunito i gruppi ieri sera e nel pomeriggio ha sentito associazioni e imprese, la voce dell’Italia che lavora e ha bisogno di stabilità e soluzioni che certo non possono arrivare se adesso inizia la campagna elettorale per votare in ottobre.

Draghi colpito dalla reazione popolare
Raccontano che Mario Draghi sia molto concentrato nel tenere il punto – “un governo resta finché riesce a lavorare e non perché deve risolvere continuamente ultimatum” – e attento alle richieste che arrivano dalla società civile (Italia viva ha raccolto centomila firme nel week end), persino dagli studenti (ieri in piazza in quattro città italiane, Roma, Torino, Bologna e Firenze), dalla Cei e dai sindacati terrorizzati di fermare l’iter del salario minimo. Senza contare gli oltre mille sindaci che hanno firmato la lettera a favore di Draghi. E le cancellerie delle democrazie occidentali terrorizzate all’idea di perdere il punto di riferimento italiano nel caos di una campagna elettorale. Draghi ascolta, vede ed è ovviamente molto sensibile a questi appelli. Ma il suo problema è il Parlamento ed è qui prima di tutto che deve essere risolto l’impasse.

Comunque in carica fino a novembre con pochi poteri
C’è, infine, un altro buon motivo che potrebbe essere di aiuto nel risolvere la crisi. Comunque vadano le cose, Mario Draghi resterà a palazzo Chigi almeno fino a novembre. Se si vota, la data segnata in rosso è il 2 ottobre. A quel punto il rito – insediamento Camere, elezioni organi direttivi, consultazioni e formazione del governo – può portare via tra i 30 e i 45 giorni. Ma anche di più. Dipende dalla forza della maggioranza che esce dalle urne. Insomma, se tutto va bene, si arriva a metà novembre. Dal decreto di scioglimento delle Camere (fine luglio?) fino al giuramento, passano 3/4mesi in cui Draghi deve restare a palazzo Chigi ma con poteri dimezzati.

“Solo per il disbrigo degli affari correnti” recita la formula. Significa che se anche potesse approvare decreti (viste le numerose emergenze in corso), non potrà poi mettere la fiducia per farli convertire. E se potrà scrivere i decreti delegati per dare le gambe a due riforme chiave come Concorrenza e Fisco, la palude di un Parlamento in campagna elettorale può tenere tutto fermo e far decadere li misure. Gli esempi sono tanti. La domanda è se uno come Draghi, che tiene molto al suo standing e alla sua credibilità, può sopportare di stare mesi in balia dei partiti senza avere leve di comando. E decisione. E’ chiaro che non può. Un motivo in più, e di un certo spessore, per provarci di nuovo.

Anche perché dai Cinque stelle di Conte, si sta alzando il venticello della calunnia e la frase “Draghi non può scappare e mollarci adesso in piena emergenza inflattiva ed energetica”. Qualcuno già parla di “effetto Schettino” . Che sarebbe veramente il colmo. Così come sarebbe un paradosso se alla fine succedesse quello che Conte ha sempre sperato: uscire dalla maggioranza, mettersi comodamente all’opposizione mentre la legislatura va avanti.
Sarà una nottata di vertici nei vari partiti. Mentre Beppe Grillo posta la foto di una potente colla.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.