Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, renderà le sue comunicazioni con dibattito fiduciario e voto per appello nominale, prima in Senato la mattina e nel pomeriggio alla Camera. Così hanno deciso i presidenti del Senato Elisabetta Casellati e della Camera Roberto Fico. E su questo, spiegano gli addetti ai lavori, non c’è stato mai alcun dubbio. La prassi prevede che si cominci dal Senato e che poi il premier consegni a Montecitorio il testo del suo intervento, per poi aprire il dibattito su cui si voterà. Ma nelle ultime ore i presidenti dei gruppi parlamentari di Pd e Movimento 5 Stelle hanno pressato per far intervenire il premier prima alla Camera, scatenando la rabbia del centrodestra.

La Lega ha protestato per l’ipotesi di partire dalla Camera: “Basta giochi di Palazzo di 5S e Pd, Draghi prima al Senato”. Mentre cresce il pressing del centrodestra per il voto. In prima linea c’è Giorgia Meloni: “La sinistra è disposta a tutto pur di scongiurare il ritorno alle urne. Possono fuggire ma arriverà presto il giorno in cui dovranno fare i conti col giudizio degli italiani”. Da Forza Italia Silvio Berlusconi e Antonio Tajani confermano la chiusura nei confronti dei grillini: “O Draghi bis senza i 5Stelle o voto”. Il premier, che attende segnali, oggi è stato ad Algeri, un viaggio confermato nonostante la crisi. L’obiettivo: sostituire l’import dalla Russia e diventare una piattaforma per rifornire i partner. Il messaggio finale di Conte: “Ora la decisione spetta a Draghi”.

Dopo tre lunghissimi giorni di assemblea permanente dei parlamentari via Zoom – tra sospensioni, rinvii e annullamenti – la linea del leader M5S Giuseppe Conte e della maggioranza degli eletti pentastellati è chiara: è Draghi a dover decidere se il governo cade o resta in piedi, è sua la responsabilità di staccare la spina. L’avvocato del popolo lo ribadisce al termine dell’ennesima riunione fiume, oggi durata quasi sei ore: “Adesso la decisione non spetta a noi ma spetta al premier Draghi”. Tradotto: il Movimento non vuole il voto anticipato, il presidente del Consiglio può andare avanti con o senza cinque stelle, accogliendo i famosi nove punti o accettando una sorta di appoggio esterno. Come spiega il deputato M5S Francesco Silvestri, nel caso Mario Draghi confermi le dimissioni alle Camere “si prenderà le sue responsabilità, perché un presidente del Consiglio che stacca la spina al governo pur avendo i numeri è singolare”.

“Non abbiamo compreso una reazione un po’ scomposta del presidente Draghi di rassegnare le dimissioni a fronte di una posizione che era ben nota allo stesso presidente già dal momento in cui quel decreto ha visto la luce nel Consiglio dei ministri”, insiste l’onorevole Vittoria Baldino. Questa insomma la strategia che verrà portata avanti fino a mercoledì da Conte e i suoi. Il presidente pentastellato, al termine della congiunta, rileva che “la stragrande maggioranza degli interventi ha colto la forza e la coerenza della nostra posizione”. Vero, ma resta comunque una spaccatura tra gli eletti che rischia di farsi evidente soprattutto alla Camera, dove potrebbero arrivare a una trentina i deputati pronti a votare la fiducia in ogni caso.

Anche oggi i nervi erano tesi in assemblea. Nel mirino è finito il capogruppo a Montecitorio Davide Crippa, reo di aver richiesto – insieme al Pd – l’inversione dell’ordine di intervento di Draghi in Parlamento mercoledì: prima alla Camera (dove il consenso alla linea Conte è meno granitico) e poi al Senato. Un blitz, quello di Crippa, di cui il leader M5S dice di non essere stato avvertito. Ai colleghi che esigono un chiarimento, a quanto apprende LaPresse, il capogruppo si giustifica dicendo di non potersi sottrarre a fronte di una richiesta arrivata dal fronte progressista. Poi attacca nel merito: “Dall’opposizione la vita non la migliori. Fai solo propaganda”, e “ora risulta difficile spiegare ai cittadini perché ritiriamo la fiducia a Draghi dopo averla data alla Camera in attesa del decreto di fine luglio”, afferma Crippa.

Il quale poi si trova al centro anche di un’altra questione venuta alla luce oggi: il contratto che legava Rocco Casilino ai gruppi di Camera e Senato del M5S è scaduto e il rapporto di consulenza, per le attività di comunicazione dei gruppi, non è stato ancora rinnovato. Sul mancato rinnovo – rivelano fonti parlamentari – peserebbero proprio le vicende legate alla crisi di governo e in particolare alla posizione assunta dal capogruppo contro la linea espressa da Conte. Si mostra invece più conciliante il ministro per le Politiche giovanili, fino a oggi critica verso un’ipotesi di togliere la fiducia all’esecutivo e che in congiunta invece assicura: “Seguirò le decisioni del mio capo politico”. L’ex ministro Alfonso Bonafede invece non vuole schierarsi e invita all’unità: “In questo momento così delicato sarebbe un errore dividerci in fazioni, tra contiani e governisti. Io non mi iscrivo a nessuna fazione” ed “è importante che ciascuno di noi, dentro e fuori quest’assemblea, sia ambasciatore del buon senso”. Nel dibattito interviene a suo modo anche Beppe Grillo: il garante modifica l’immagine e lo stato del suo profilo whatsapp, pubblicando la foto della colla Coccoina. Un chiaro messaggio – assicurano a LaPresse fonti parlamentari a lui vicine – contro chi rema contro il Movimento 5 Stelle e vuole restare attaccato alla poltrona. (Fonte:LaPresse)

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