La crisi di governo
Draghi sì Draghi no, gli scenari a un giorno dall’ora della verità: trattative a oltranza

L’unica certezza: il Presidente del Consiglio Mario Draghi domani parlerà al Senato e alla Camera, così come indicato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo che il premier aveva rassegnato le sue dimissioni respinte dal Capo dello Stato. Tutto il resto è: retroscena, indiscrezione, pettegolezzo politico. A 24 ore da tutto ciò la crisi del governo è tutta un’enigma mentre si susseguono appelli al Draghi bis e appelli per andare al voto.
Draghi, anche questo è chiaro, non ha mai perso la maggioranza numerica. La crisi è stata extraparlamentare, maturata per ragioni politiche in virtù di una maggioranza sfaldata dal non voto del Movimento 5 Stelle al decreto aiuti in Senato. Il premier aveva detto in conferenza stampa di voler continuare solo con quella maggioranza ed aveva escluso un Draghi bis. Quello che succederà da domani in poi dipenderà soprattutto da lui.
Domani alle 9:30 farà le proprie comunicazioni nelle due aule, prima al Senato e poi alla Camera. Nella riunione dei capigruppo è stato deciso che il premier terrà le cosiddette “comunicazioni fiduciarie”: ovvero un intervento seguito dal voto di fiducia. Draghi potrebbe tuttavia confermare le sue dimissioni e consegnarle a Mattarella facendo saltare il voto di fiducia. I retroscena non coincidono, grande è la confusione sotto il sole.
“Penso che andrà a finire così, che Draghi farà prevalere il senso delle istituzioni e che il finale sarà che Draghi torna a Chigi e Conte torna a casa”, la previsione dell’ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi sulla stessa linea di quella di un altro ex premier, Mario Monti. Secondo il Corriere della Sera Draghi non si è messo e non ha intenzione di mettersi al telefono per incassare le rassicurazioni dei leader di partito. Certo a una soluzione si dovrà arrivare entro oggi. Secondo La Stampa sarebbe tentato dal bis, nonostante il rischio di dover governare per mesi con una maggioranza costantemente divisa su tutto.
Il Presidente della Repubblica potrebbe in caso di dimissioni provare a formare un nuovo governo: con consultazioni, assegnazione di un incarico, nomina, giuramento e fiducia del Parlamento. Governo che potrebbe essere tecnico, istituzionale o di scopo: sostanzialmente per approvare la Legge di Bilancio e tirare fino alle elezioni. Se nessuna maggioranza dovesse emergere dai colloqui con i capi politici di partito, il Capo dello Stato potrebbe sciogliere le Camere e indire il voto. La prima data utile potrebbe essere domenica 2 ottobre.
Se Draghi dovesse cambiare idea, il governo avrebbe già la maggioranza. Quando ha annunciato le sue dimissioni però escludeva l’ipotesi di un governo che non fosse espressione dell’unità nazionale. Le trattative negli ultimi giorni si sono però complicate: Forza Italia e Lega, il centrodestra al governo, ha escluso un nuovo governo insieme con il Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo però potrebbe ulteriormente scindersi dopo l’addio del ministro scissionista Di Maio, con parte dei parlamentari ad appoggiare Draghi.
Il Fatto Quotidiano dà in uscita dal governo i due ministri pentastellati Stefano Patuanelli e Fabiana Dadone mentre Federico D’Incà rimarrebbe al suo posto, ai rapporti con il parlamento. L’Agricoltura passerebbe al premier e le politiche giovanile al titolare dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Tutto da vedere però. Dal Quirinale intanto ricordano, riporta Marzio Breda sul Corriere, il precedente del 1994: quando l’Italia era funestata da Tangentopoli, il governo di Carlo Azeglio Ciampi rischiava di cadere con una sfiducia in Aula. La sinistra della “gioiosa macchina da guerra” del segretario Achille Occhetto premeva per il voto, convinta della vittoria. Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro sciolse le camere e lasciò Ciampi a gestire tutto fino al voto. A vincere fu Silvio Berlusconi.
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