Traffico di influenze
Svolta di Travaglio, il Fatto Quotidiano diventa garantista: niente gogna per Grillo indagato
La notizia che il povero Beppe Grillo è indagato per il reato inventato dalla ministra Severino e inasprito dal prode Bonafede – fustigatore di ogni malefatta dei politici – ieri ha fatto sorridere un po’ tutti i commentatori. In effetti è una notizia molto divertente. Qualche giorno fa Marco Travaglio, che di Grillo è il principale figlioccio, durante un dibattito televisivo con Renzi sorrideva e sventolava le mani strusciando tra loro i due pollici i due indici per far capire che i pregiudicati veri son quelli che prendono denaro, anche se magari non vengono condannati, e tutti gli altri reati contano poco.
Travaglio sosteneva che questo tipo di reato era tutto una specialità dei partiti non-cinque-stelle, e in particolare dei renziani e dei berlusconiani. E adesso si trova in un bel guaio. Qui c’è la magistratura che sostiene che Grillo ha preso i soldi per dire ai suoi (cioè ai deputati e ai senatori del partito del quale era garante) di favorire la Moby Traghetti. E, secondo i Pm, i suoi deputati e senatori obbedirono, come spesso a loro capita. E su questa base i magistrati hanno ipotizzato il reato di traffico di influenze. Ora è ben vero che nessuno sa in cosa possa consistere questo reato misterioso, inventato solo allo scopo di consegnare ai Pm uno strumento per colpire i politici e gli imprenditori anche in totale assenza di episodi di corruzione; però resta il fatto che a difendere strenuamente questo reato, e ad inasprirne le pene, c’era proprio il partito di Grillo, che lo fece anche in modo rumoroso, e quando (con l’aiuto della Lega) impose al parlamento quell’obbrobrio di legge forcaiola che battezzò “spazzacorrotti”, festeggiò e festeggiò e si gloriò e insultò sanguinosamente chiunque provasse a opporsi a quella follia da sbirri. E Grillo era lì. Felice. Convinto. Contento. Era lì in bonafede.
Poi tutto tornò in pianto. E dalla nuova terra un turbo nacque… Se lo guardate oggi, Grillo, fa simpatia. Si proclama innocente, ripete le frasi che cento volte hanno ripetuto, non credute, centinaia di vittime della malagiustizia – come lui- che però, da lui, furono insolentite e infangate. Ora è lui a imitare le sue vittime. Traffico di influenze non è una cosetta. La pena può arrivare a quattro anni e mezzo di prigione. Che vuol dire addirittura tre volte la pena che Grillo a suo tempo rimediò come responsabile di un triplice omicidio colposo. Si sa che nella filosofia dei 5 Stelle omicidio e reati contro il patrimonio o la pubblica amministrazione non sono comparabili. A una persona onesta può succedere di uccidere, e passi; ma se davvero è onesta onesta non gli capiterà mai di essere sospettata di avere preso o dato dei soldi illeciti.
E così, nell’ilarità generale, Grillo è finito anche lui alla gogna. Tanto che tutti i giornali italiani, salvo uno, ieri hanno dedicato a Grillo il titolo di apertura della prima pagina. Come fanno da molti anni ogni volta che un politico prende una stangata da un sostituto procuratore allegro e baldanzoso. Salvo uno, dicevamo. Indovinate quale? Eh già, proprio lui: Il Fatto del fido Travaglio. Il quale per la prima volta nella sua storia – dieci anni di storia – ha ridimensionato la notizia e ha deciso che era una notizietta da dare in prima in un trafiletto piccolo piccolo. E questo, naturalmente ha aumentato l’ilarità generale. Perché poi è così: è giusto, quando un povero epuratore finisce epurato (Nenni aveva previsto tutto) e un fustigatore fustigato, e un savonarola savonarolato, non fare i maramaldi e difenderlo, come vanno difesi tutti quelli che finiscono sotto le manganellate dei Pm. Però, ridere un po’ è lecito. Di Grillo? Sì, certo, di Grillo, ma più ancora del suo scudiero che dirige il Fatto.
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