Quando vince le elezioni una coalizione che non hai sostenuto, l’unica speranza cui puoi appellarti è l’incoerenza: che una volta al governo faccia tutto il contrario di ciò che aveva promesso. Con l’onestà però di dire “ci eravamo sbagliati”, ammettendo che spesso ciò che si promette in campagna elettorale, e vale per tutti, non può reggere alla prova di governo. Avendo fiducia che gli elettori sappiano valutare la responsabilità meglio della propaganda. Se questo patto di chiarezza viene meno, vacilla anche la fiducia degli elettori, come sta avvenendo per i flussi migratori e le accise sulla benzina. Oggi il governo ci dice che l’Europa continua a non ascoltarci e le accise servono per tagliare il cuneo fiscale, e se la benzina è troppo cara è colpa tua che hai sbagliato benzinaio (questo però l’ha detto solo Urso). Consapevole quindi di stare perdendo terreno sul fronte della fiducia, Giorgia Meloni ha sperimentato una nuova strategia comunicativa: spiegare agli elettori di stare facendo A, mentre tutto il resto del governo fa B. È la via del populismo, solcata dai 5 stelle, e che quasi tutti ormai attraversano con disinvoltura.

Che la tassa sui cosiddetti extraprofitti delle banche, che extraprofitti non erano, fosse tecnicamente sbagliata, Giorgia Meloni lo sapeva dal primo momento. Quando in prima persona decise di portarla in Consiglio dei ministri senza discuterla prima con gli alleati. Nella prima intervista fatta dopo il decreto, Meloni disse: “Ho coinvolto in minor misura la maggioranza perché la questione, diciamo cosi, non doveva girare troppo”. Cosa voleva dire il premier? Perché non doveva girare troppo? Perché sarebbe stata fermata dalla maggioranza, o dalle banche? Il silenzio seguito a queste gravi affermazioni è giustificabile solo col fatto che, per fortuna, la nostra costituzione prevede che anche i decreti legge debbano passare dal parlamento, e quindi dall’opinione pubblica, lobby comprese. Il guaio è che i decreti passano spesso anche per i mercati, e il tonfo a Piazza Affari seguito a quell’annuncio ha subito allarmato il governo.

Ma mai quanto le parole di Marina Berlusconi, che pubblicamente ha detto bisognava cambiarlo. A quel punto il vicepremier Tajani, che pure in Cdm lo aveva votato, e anche difeso in un primo momento, non ha potuto che iniziare la manovra di sfiancamento, spalleggiato dai banchieri. Forza Italia ha presentato una serie di emendamenti, tutti ritirati due giorni fa. Quando Giorgetti ne ha presentato uno a nome del governo, a modifica sostanziale del decreto. Che però in quelle ore il premier Giorgia Meloni stava presentato in diretta televisiva come arma contro gli interessi illegittimi. E infatti per quanto ora il decreto risulti profondamente cambiato, tanto che con una semplificazione si è passati dagli extraprofitti alla capitalizzazione, Fratelli d’Italia dice invece che non è cambiato nulla. E addirittura Salvini rimarca la dose: “Meglio tassare le banche che le barche”.

Ma a rompere la narrazione di Lega e Fratelli d’Italia che pensano di accaparrarsi gli elettori con le cartoline social “spezzeremo le reni a banchieri brutti sporchi e cattivi”, ci pensa Tajani che invece, se non le banche in generale, prova almeno a rassicurare quella di riferimento. “Forza Italia è soddisfatta – ha detto il ministro degli Esteri – per l’emendamento del governo che modifica il testo originario sugli extraprofitti delle banche, accogliendo la sostanza delle nostre indicazioni ed è per questo motivo che ritireremo gli emendamenti presentati. La tassazione sarà più equilibrata, le piccole banche salvaguardate, e verranno salvaguardati gli interessi dei risparmiatori e degli investitori, gli acquisti dei titoli di stato e la specificità delle varie banche”. Certo Tajani trasformato nel Carlin Petrini delle banche a guida di una sorta di slow food del credito è sorprendente. Proprio Tremonti, il ministro dell’economia di Berlusconi, ha piegato che il limite è stato quello di escludere dal provvedimento le banche piccole, ignorando che anche queste possono trarre utili dal differenziale fra interessi sui mutui e depositi. Poi però leggi che la prima banca a beneficiare del nuovo emendamento è Mps, e magicamente tutto torna.