Lavoro, casa, vita autonoma, e disabilità. Parole che si combinano bene insieme sulla carta, ma che ancora sono lontane dall’essere una opportunità stabile e strutturale per molte persone con disabilità. Le normative hanno fatto certamente dei passi in avanti, ed esistono ormai molti esempi virtuosi sul territorio. Il punto è capire come rispondere alle aspettative delle famiglie senza creare continue frustrazioni, mettendo a sistema esperienze eccezionali per farle diventare modello replicabile in una ottica di co-programmazione e co-progettazione tra non profit e profit.

Magari Domani  – che opera in provincia di Varese – non è solo un auspicio, è anche il nome di una cooperativa sociale e di lavoro che da tempo – insieme alla classica esperienza di volontariato – ha sperimentato nuove frontiere sul fronte inclusione lavorativa e abitativa.

Nel mercato del lavoro, l’inquadramento stabile e correttamente retribuito delle persone con disabilità in particolare cognitiva è ancora molto lontano dall’essere una realtà. Il rapporto nato tra una pmi artigianale, la Ciemmecablaggi, e La Magari Domani è interessante. Quando si visitano i reparti dell’azienda, non è così semplice distinguere chi sono gli operai della Magari Domani e della Ciemmecablaggi. La collaborazione ha avuto avvio nella lavorazione di una serie di quadri elettrici, un ordine corposo ma molto ripetitivo. Ciascuno è più o meno adatto ad una mansione, e per una persona con spettro autistico il lavoro ripetitivo e di precisione è tutt’altro che noioso.

La prima commessa è andata male, ma è stata una epifania per tutti. Sono emersi aspetti poi trasformatisi in prassi aziendale: lasciare sempre un campione, e dare indicazioni chiare e non equivocabili. Poi l’ennesima intuizione. Perché dislocare in luoghi separati le due attività produttive, quella sociale e quella aziendale, quando si poteva lavorare nello stesso capannone riducendo i tempi degli spostamenti e monitorando la qualità del lavoro. È questo ad avere dato il via ad una collaborazione che oggi racconta di vera integrazione, di lavoro e pause caffè condivisi. Grazie alla mentalità dell’imprenditore, che ha saputo guardare oltre la superficie dell’assistenzialismo, e di un terzo settore uscito dalla sua comfort zone per costruire un rapporto nella fatica della quotidianità, delle scadenze e della necessità di essere competitivi.

La presenza dell’educatore ha agevolato la possibilità di mescolare le carte relazionali, di fare da ponte tra le due squadre di operai, trasformando la noia degli elettricisti verso operazioni ripetitive, in divertimento nel tentativo di insegnare alla squadra meno abile. Una bella alchimia, suggerita dalle norme ma alimentata con la buona volontà. Se lo ha fatto questa pmi, forse non sarebbe così impossibile per altre imprese che vivono con preoccupazione l’inserimento di una persona con disabilità.

La Ciemmecablaggi è cresciuta, e si è trovata in obbligo di assunzione. A quel punto l’azienda ha avuto vita facile nel poter scegliere la persona con invalidità da aggiungere al proprio organico pescando direttamente dalla cooperativa. Con la Legge 12 marzo 1999, n. 68, di fatto sono le cooperative ad assumere il dipendente facendosi dare il lavoro sufficiente per pagarne lo stipendio. Una sorta di compensazione che libera l’azienda dall’obbligo di assumere direttamente il disabile e di gestirne le dinamiche.

Se impresa, terzo settore, e percorsi formativi non costruiscono insieme i processi, l’ingranaggio diventa una dispendiosa sconfitta sociale. Per questa pmi, integrare direttamente nel proprio organico una persona “svantaggiata”, è stata l’unica scelta possibile perché esisteva già un rapporto di fiducia. Perché cercare altrove, perché girare attorno alle normative, perché limitare la responsabilità sociale d’impresa. Ogni tanto qualche lavoro in Ciemmecablaggi viene ancora sbagliato, ma in azienda il clima è più umano. Ci sono sei persone con disabilità cognitiva che a fine mese contribuiscono al Pil del Paese, e magari domani possono offrire una pizza agli amici con il frutto del loro lavoro.

Maria Chiara Gadda

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