Il recente episodio della scuola di Abbiategrasso, dove uno studente ha accoltellato una professoressa, ha fatto balzare agli onori della cronaca un problema emerso durante il lockdown e deflagrato dopo la pandemia: la salute mentale in generale, e la fragilità di adolescenti e giovani. “Io non sono matto, a cosa serve andare dallo psicologo?” Questa frase ancora oggi ferma migliaia di cittadini dal prendere consapevolezza di un disagio.

Ammettere di avere bisogno di una mano dal punto di vista psicologico o psichiatrico può essere vissuto come un’onta, qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi. Il cosiddetto “stigma sociale” che si riverbera anche sulla famiglia. Nulla di diverso da quanto accadeva già nel XVI secolo quando, per primo, San Giovanni di Dio inventò l’Ospedale “moderno” diviso in reparti e specialità, e si prese cura dei primi psichiatrici. Se c’è da rilevare un aspetto positivo della tremenda pandemia da Covid-19, è di avere in parte o del tutto sdoganato il concetto di salute mentale.

Fondazione Veronesi, e lo studio del Dipartimento di Scienze Biomediche di Humanitas University, hanno fatto emergere che su un campione di 2400 persone il 21 per cento ha peggiorato i rapporti col partner, il 50 ha subito un incremento della fatica percepita sullo svolgimento delle attività lavorative, e il 70 degli studenti ha avuto un calo di concentrazione nello studio. Senza contare il ricorso ai farmaci, con il 14 per cento degli intervistati che ha dichiarato di aver iniziato ad assumere ansiolitici o sonniferi, e il 10 antidepressivi. Come pubblicato dalla Oms nel marzo 2022, nel primo anno della pandemia la prevalenza globale di ansia e depressione è aumentata del 25 per cento. Lo stesso Direttore Generale dell’Oms, Ghebreyesus, ha detto che vediamo solo la punta dell’iceberg della salute mentale.

Preoccupa, quindi, il pezzo che ancora non si vede. Questo scenario ha impattato, in Italia, su un sistema infrastrutturale ed organizzativo abbastanza carente e spesso messo in secondo piano rispetto ad altri settori della medicina. Dopo la Legge Basaglia del 1978, che sostanzialmente imponeva la chiusura dei manicomi e l’apertura dei Centri di Salute Mentale, il tema della psichiatria non è mai più stato centrale. Molte situazioni di disagio rimangono sulle spalle delle famiglie, dei sindaci che devono firmare il Tso, o delle carceri piene di persone malate. Se anche in questo ambito non esistesse un terzo settore organizzato e con elevate professionalità, la società ne percepirebbe effetti ancora più gravi. Il ruolo sussidiario del non profit, non può però essere giustificazione di disimpegno da parte del soggetto pubblico.

Il nostro Sistema Sanitario Nazionale è impreparato. Esistono notevoli problemi di carenza di personale qualificato a partire dagli psichiatri e neuropsichiatri infantili, tecnici della riabilitazione psichiatrica, e psicologi. Non va meglio per i posti letto. Sono nove ogni 100mila abitanti, contro la media Ue di settantatré. Anche tutte le strutture intermedie e/o ambulatoriali, laddove esistono, sono completamente intasate dalle richieste. La divisione rigida tra neuropsichiatria infantile e psichiatria dell’età adulta, concepisce il sostegno fino al compimento del diciottesimo compleanno. Poi il vuoto. In molti ambiti, vedasi i Disturbi del Comportamento Alimentare, si sta lavorando da questo punto di vista poiché i primi sintomi sono sempre più precoci all’interno del mondo adolescenziale e giovanile. Per non parlare di chi abusa di alcool, droghe o altri problemi.

Ho avuto l’onore di dirigere per quasi tre anni il Centro di Salute Mentale Sant’Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio (Milano), il più grande Csm della Lombardia con 417 posti letto. Ho toccato con mano il lavoro straordinario che viene fatto nella comunità “Olallo Valdes”, dedicato a ragazze con disturbi del comportamento alimentare o nella comunità “San Riccardo Pampuri” dove vengono accolti i più giovani con disturbi legati alla tossicodipendenza o altri abusi. Nel nostro Paese ci sono tante persone che dedicano la loro vita alla cura del paziente. Penso al Priore Fra Gian Carlo Lapic, che è davvero un frate visionario e appassionato con cui abbiamo avuto il coraggio di aprire un poliambulatorio per la salute mentale dei minori chiamato “0-17” essendo appunto questa l’età più critica.

C’è un ampio dibattito in questi giorni sullo psicologo a scuola, o sul “bonus psicologo”. Certamente è un buon punto di aggancio per iniziare ad affrontare il problema, ma nel mondo della salute mentale “la cura, innanzitutto, è il tempo”. Serve l’impegno di tutti, come comunità, per comprendere come migliorare la vita dei pazienti psichiatrici e lavorare sulla prevenzione, unico vero strumento a disposizione per evitare casi come quello di Abbiategrasso. La politica e la medicina si confrontino per trovare il bandolo di una matassa pesantemente aggrovigliata ma dentro la quale, è importante ricordarlo, si gioca gran parte del futuro dei nostri ragazzi.