L’arresto in Turchia di 34 persone accusate di spionaggio per conto del Mossad è un messaggio che Ankara ha voluto inviare a Israele, in linea con il precedente avvertimento che “qualsiasi tentativo da parte dei servizi segreti israeliani di porre in essere azioni contro cittadini palestinesi ospitati in Turchia avrebbe avuto gravi conseguenze”. Questo è il significato della vasta operazione che martedì 2 gennaio si è svolta in otto province turche.

Il capo dello Shin Bet, l’intelligence interna israeliana, Ronen Bar, circa un mese fa aveva avvertito che avrebbe dato la caccia ai leader di Hamas a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Qatar e in ogni luogo, compresa la Turchia, anche nel caso in cui sarebbero stati necessari molti anni. “Questa è la nostra Monaco” aveva precisato Bar all’emittente pubblica Kan. La risposta rabbiosa di Erdoğan non si è fatta attendere: “Se commetteranno un simile errore sul suolo turco, pagheranno un prezzo molto alto dal quale non potranno più risollevarsi”. I rapporti tra Turchia e Hamas sono radicati nell’amicizia diretta del presidente per motivi ideologici. Ankara aveva accolto i suoi massimi leader e aveva rilasciato loro passaporti, aveva consentito l’apertura di sedi e aveva fornito finanziamenti e sostegno militare.

La rete di spie e i sequestri

La Procura di Istanbul sostiene che la polizia, nell’operazione denominata in codice “Köstebek” (Talpa), ha scoperto una rete di spie intente a effettuare operazioni di ricognizione, pedinamento, aggressione e rapimento di cittadini palestinesi residenti in Turchia. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati 143.830 euro, 23.680 dollari, altre somme di denaro contante proveniente da diversi paesi, un gran numero di cartucce e materiale digitale. Negli ultimi due anni la Turchia ha condotto simili operazioni di polizia contro presunte spie. A dicembre, la polizia e l’intelligence turca, il MİT, avevano arrestato 44 sospettati che secondo il quotidiano turco Sabah lavoravano per il Mossad fingendo di essere consulenti privati, ma la loro vera missione era quella di monitorare le attività di residenti palestinesi. Gli arresti probabilmente contribuiranno a far ulteriormente deragliare il nascente riavvicinamento tra Turchia e Israele. Dopo oltre un decennio di gelo, nel 2022, i due paesi erano riusciti a ristabilire normali rapporti diplomatici e avevano nominato i rispettivi ambasciatori, ma, dall’inizio del conflitto a Gaza, entrambi hanno richiamato i propri diplomatici. Erdoğan sulla guerra a Gaza ha preso le distanze dai suoi alleati occidentali difendendo Hamas una “organizzazione di liberazione” e ha rivolto infuocate critiche contro Israele da quando quest’ultima ha iniziato a bombardare Gaza in risposta all’attacco terroristico di Hamas. Ha definito Israele stato terrorista che pratica il genocidio e ha paragonato il primo ministro Benjamin Netanyahu a Hitler

La retorica infuocata

Secondo l’intelligence turca il Mossad recluterebbe le spie attraverso annunci di lavoro pubblicati sui social media. Questi verrebbero impiegati a fotografare obiettivi e a posizionare dispositivi GPS nelle auto dei sospettati. Il trasferimento di denaro sono stati utilizzati Per pagare gli informatori e nascondere che la provenienza del denaro era Israele vengono utilizzate criptovalute e hawal. La Turchia tuttavia ha evitato di adottare misure punitive contro Israele, poiché il commercio sta andando a gonfie vele e i canali diplomatici, seppur a livello inferiore, sono ancora aperti. La settimana scorsa, la polizia turca ha arrestato 32 persone sospettate di essere membri dello Stato islamico, intenti a pianificare attacchi contro sinagoghe e chiese in Turchia. È dunque evidente che Ankara cerca di non portare alle estreme conseguenze la crisi nelle relazioni con Israele. La sua retorica infuocata contro lo stato ebraico serve al leader turco per poter assurgere alla leadership nella “geografia musulmana” e nella sua diaspora in Occidente. Ma nella retorica di Erdoğan non vi è solo la sua visione ideologica islamista, ma vi è soprattutto molta propaganda ad uso interno data in pasto alla propria base elettorale per far dimenticare la grave crisi economica che affligge il paese e per cementare l’elettorato conservatore-islamista attorno a tematiche identitarie, nostalgiche e revansciste.

Ora il leader turco attende il presidente iraniano Ebrahim Raisi ad Ankara Raisi che fa pressione sulla Turchia affinché interrompa con Israele ogni relazione commerciale. Ma Erdogan non ci pensa nemmeno e si guarda bene a non apparire fianco a fianco col cosiddetto “asse della resistenza”. Ciò che accomuna Ankara a Tehran è il fatto che entrambe sono i maggiori sostenitori di Hamas, ma vi sono soprattutto un lungo confine di confine di 535 chilometri e le loro preziose relazioni economiche-commerciali. L’Iran rappresenta per la Turchia una preziosa via terrestre verso i mercati dell’Asia centrale ed è un importante fornitore di gas naturale e Ankara cerca il suo appoggio per la riconciliazione con Damasco per combattere le forze curde-siriane nel nordest del paese.

L’incontro avviene all’indomani del terribile attentato contro i Guardiani della rivoluzione a Kerman che ha provocato 103 morti e 171 feriti nei pressi della tomba di Qasem Soleimani, comandante del Corpo dei guardiani della rivoluzione che fu ucciso il 3 gennaio 2020 in un attacco Usa a Baghdad. Questo di Kerman si tratta di un attentato molto simile a diversi altri del recente passato. In questa fase il regime dovrà prendere una decisione su dove spingere il suo sostegno ad Hamas e sulla risposta che intende dare a Israele dopo l’uccisione del capo dei pasdaran in Siria, Seyyed Razi Mousavi, e una strage potrebbe tornare utile per alimentare la propaganda contro Israele e mostrare all’interno e all’esterno del paese di essere vittima del terrorismo.