Di mafia, della smania di intercettare, di abusi e di soluzioni: ne abbiamo parlato con Raffaele Marino, già sostituto procuratore generale di Napoli ed ex numero uno della Procura di Torre Annunziata. Marino è stato intercettato, indagato, accusato di legami con la camorra, processato e poi… assolto. L’assoluzione è arrivata dopo dieci anni di gogna e dopo essere stato ignorato dal Csm. Ha vissuto in prima persona le storture di questa giustizia.

Presidente, all’indomani dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il ministro Nordio ha riacceso i riflettori sulle intercettazioni. Che idea si è fatto del dibattito in corso?
“Nordio non è un politico, penso che abbia sbagliato tempi e modi per proporre delle riforme. Tra l’altro in modo generico. Mi sento di poter dire che un ministro prima di fare un’esternazione deve prepararsi, deve reperire dati, deve pensare alle soluzioni. Bisognava prima pensare a riempire i vuoti di organico nei palazzi di giustizia e poi affermare: ora puniamo gli abusi. Un ministro ha lo strumento e il potere di poter punire gli abusi. Un discorso del genere si doveva fare ma in questi termini e non all’indomani della cattura del boss Matteo Messina Denaro. Oggi il problema che noi abbiamo sul tavolo non è tanto quello di scrivere una nuova ennesima regolamentazione, perché le leggi non risolvono tutti i problemi e, anzi, spesso li creano”.

Qual è il vero problema?
“Quello che bisognerebbe modificare è l’uso improprio dello strumento delle intercettazioni. L’intercettazione è un mezzo di ricerca della prova, ma quando? Quando ci sono gravi indizi della commissione di un reato e quando l’intercettazione risulta essere indispensabile. Ora, mentre sull’indispensabilità si può discutere fino a un certo punto perché è difficile dare un giudizio preventivo e previsionale, sulla gravità degli indizi bisogna discutere. L’intercettazione non è un mezzo preventivo: io intanto ti intercetto perché ho dei sospetti e poi verifico se c’è o meno un reato. Questo è il tipo di intercettazione che non va bene e che non si deve fare. Se invece so già che c’è un reato che è stato commesso, allora intercetto perché spero di carpire notizie in ordine a quel reato che già c’è”.

Ma la tendenza oggi è proprio quella di indagare sui soggetti per scoprire i reati…
“Sì. C’è senz’altro un problema di educazione e di formazione dei Pm. Anche perché questa continua restrizione dei presupposti per poter indagare non sempre è stata percepita come tale dai pubblici ministeri che attraverso motivazioni spesso di comodo e attraverso una copertura giurisprudenziale da parte dei Gip che autorizzano, sostanzialmente eludono le norme. Questo è il nodo. Se si osservassero le norme che già ci sono certamente non ci troveremmo oggi a discutere dell’abuso delle intercettazioni”.

Nordio ha detto: sì alle intercettazioni per i reati di mafia e quelli affini, ma attenzione al loro utilizzo se si parla di reati minori. Al centro del dibattito: il reato di corruzione. Cosa ne pensa?
“Sì. Facciamo l’esempio della corruzione. Se c’è un appalto importante di svariati milioni di euro succede che basta anche solo una segnalazione anonima, che la polizia infiocchetta rendendola credibile in qualche modo, e il pm parte con le intercettazioni su tutti gli imprenditori e su tutti i pubblici funzionari che partecipano e stanno dirigendo quella gara d’appalto. Il reato c’è già? No. C’è un sospetto di reato: in questo caso parliamo di un’intercettazione illegittima. Se c’è invece una denuncia, ma attenzione, denuncia che deve avere requisiti di credibilità e fondatezza allora il pm può procedere in questo senso perché ci sono gravi indizi per ritenere che ci sia un reato in corso. E attenzione anche alla mafia”.

Cosa intende dire?
“Che oggi gli abusi si fanno anche sulla mafia. Oggi pur di legittimare un’intercettazione, un articolo 7 (aggravante del metodo mafioso, ndr) non lo si nega nessuno. E io posso testimoniarlo in prima persona, sono stato intercettato per il reato di rivelazione del segreto d’ufficio aggravato dall’articolo 7 e quell’aggravante ha consentito le intercettazioni. Prima di dare un articolo 7 bisognerebbe ben motivarlo e invece è diventato un passepartout per legittimare anche attività che altrimenti non sarebbero mai consentite dal nostro ordinamento”.

Abuso delle intercettazioni e dell’articolo 7 quindi…
“Sì. E su questo c’è già una legge che dice al pm: servono gravi indizi della commissione di un reato per intercettare. Ma attenzione, i gravi indizi non riguardano solo la commissione di un reato ma anche le aggravanti del reato ed ecco che si aggira la legge”.

E quando si accerta che c’è stato effettivamente un abuso del mezzo delle intercettazioni?
“Di fronte a questo purtroppo il cittadino è inerme e resta tale. D’altra parte si tratta di bilanciare gli interessi. Vogliamo scoprire i reati? L’uso delle intercettazioni ormai è diventato l’unico mezzo per indagare sui reati? Sì e questo non dipende solo dalla pigrizia delle forze di Polizia ma anche dal fatto che sono insufficienti”.

Però così i pm non hanno mai nessuna responsabilità quando sbagliano. In che modo il ministro della Giustizia potrebbe controllare e punire l’utilizzo indiscriminato delle intercettazioni, soprattutto quelle che riguardano la vita privata di un cittadino e che spesso e volentieri vengono sbattute sui giornali?
“Molto è affidato al senso delle istituzioni e alla competenza professionale e alla buona fede di chi manipola il delicatissimo strumento del trojan. Perché altrimenti l’alternativa è: vietiamo le intercettazioni. Scegliamo: o troviamo una difficilissima strada di mezzo oppure le aboliamo. Oppure, andiamo di male in peggio, con le intercettazioni preventive (ventilate da Nordio), cioè quelle che custodisce la Polizia decidendo quando e come metterle a disposizione dei pm, quelle che fanno i Servizi Segreti per esempio, e questa è un’ipotesi pericolosissima. Il ministro avrebbe potuto dire: ogni due anni andrò nelle Procure più importanti e mi impegnerò a verificare se le intercettazioni che sono state depositate, erano rilevanti o irrilevanti. Sarebbe stata una proposta di legge con un effetto deterrente: se io so che da qui a due anni l’intercettazione che sto disponendo, sarà controllata, sicuramente starò più attento”.

 

 

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.