Non ci sta il ministro della Giustizia a passare per quello che “protegge” le mafie e che vuole spuntare le unghie ai colleghi magistrati. Non sopporta questo “pericoloso gioco di parole” sulle intercettazioni per cui ogni volta che dice qualcosa le opposizioni lo trafiggono – ci provano – con etichette di vario genere. Quella che “mai visto un mafioso che pianifica”. Il punto è chiaro: lo strumento d’indagine non si tocca, per tutti i reati visto che anche una turbativa d’asta può essere satellite agli affari del clan. E però basta abusi e sputtanamenti. In cerca del difficile equilibrio fra tre sacrosanti principi costituzionali – articolo 15, 21 e 112, privacy, cronaca e obbligo di indagini – intanto Carlo Nordio fa un piccolo blitz e reintroduce la procedibilità d’ufficio per tutti i reati con l’aggravante mafiosa. Una misura che semplifica il lavoro dell’antimafia.

Ieri pomeriggio ha portato in Consiglio dei ministri un correttivo della riforma penale Cartabia su cui si è dibattuto in questi giorni e anche in queste ore mentre il Guardasigilli presentava la Relazione sullo stato della giustizia. Il disegno di legge – e non un decreto come qualcuno malignava – riguarda le “norme in materia di procedibilità d’ufficio e di arresto obbligatorio in flagranza” e interviene sui reati procedibili solo a querela di parte. La riforma dell’ex ministra Cartabia, nell’ottica dell’efficientamento delle risorse e dei tempi della nostra giustizia, aveva introdotto l’obbligo della querela di parte per un’ampia serie di reati per cui fino al 30 dicembre gli investigatori procedevano invece d’ufficio. Tra questi reati anche quelli che poi avrebbero potuto tipizzarsi con l’aggravante della mafiosità. In questi primi venti giorni di applicazione della norma Cartabia sono però emerse alcune criticità, a dir la verità già abbondantemente denunciate da poliziotti e carabinieri che ogni giorno vivono la quotidianità dei piccoli reati. “Aver messo l’obbligo della querela di parte aggravia notevolmente il carico di lavoro per gli uffici e il personale” è stata la denuncia dell’Anfp (Associazione nazionale dei funzionari di polizia).

Il colmo è stato pochi giorni fa quando proprio a Palermo la procura è stata costretta a chiedere la revoca dei mandati di arresto per tre persone, imputate di lesioni aggravate dal metodo mafioso, in assenza della querela delle persone offese che si erano ben guardate da fare querela. Dal primo gennaio il reato di lesioni prevedeva l’obbligo delle querela. Che quei cittadini, per non avere guai col boss e il suo clan, si sono ben guardati da presentare. Nordio ha aspettato qualche giorno, ha verificato che quella norma, nata a fin di bene, aveva un baco. Ed è intervenuto. La querela, è previsto nel testo all’esame del Cdm, non è più necessaria se c’è l’aggravante di mafia. In questi casi, si precisa, si procede d’ufficio. Il Terzo Polo, che ha applaudito la Relazione di Nordio salutandola con l’inizio (forse) di una nuova stagione di garantismo, giudica l’intervento “un buffetto rispetto agli annunci roboanti dei giorni scorsi”. Chiedeva di più, maggiori interventi. Si vedrà. Intanto è arrivato questo e giusto per rispondere a chi – Pd e M5s – dicono che Nordio “prende a schiaffi l’antimafia”.

L’ex procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho, ora deputato 5 Stelle, ieri è arrivato a dire che “il governo non capisce cos’è la mafia”. L’ex procuratore Scarpinato, ora senatore 5 Stelle, ieri è arrivato a definire il ministro “un estremista politico che vuole spuntare le armi alla magistratura”. La risposta è una piccola norma che va a correggere la Cartabia in un passaggio procedurale che forse era stato sottovalutato. “Questo ministero – spiega una fonte interna che ha il doppio ruolo, tecnico e politico – lavora sui dossier in nome di un bene comune che è la giustizia, qui non si fanno battaglie ideologiche e, senza offesa per nessuno, se c’è qualcosa da cambiare perché non funziona, lo facciamo. Anche se porta il nome di un ex ministro di grandi qualità come Marta Cartabia”. Detto questo, in via Arenula il nuovo ordine è di “non chiamarla più riforma Cartabia”. Il capitolo “correttivi della Cartabia” potrebbe non chiudersi qua. Su questo punto “c’è urgenza di intervenire perché il problema della procedibilità a querela compare ogni giorno”. E’ stato però deciso di non ricorrere alla forma del decreto proprio per lasciare al Parlamento la libertà di intervenire.

Gli attacchi a Nordio non termineranno qua. Resta il nodo delle intercettazioni. Come ha dimostrato anche ieri il dibattito alla Camera sulla Relazione sulla giustizia. Nella migliore delle ipotesi il ministro viene “accusato” di essersi rimangiato quanto aveva detto la volta prima. Così, nei capannelli in Transatlantico e alla buvette, se ne ragionava anche ieri tra “nemici”, “avversari”, comunque membri della maggioranza e dell’opposizione. “Nessuno vuole toccare le intercettazioni come strumento valido per tutte le indagini – ragionava il deputato della maggioranza – certo potremmo limitare ad esempio il trojan che non è più un’intercettazione ma una telecamera spia nascosta e aperta su tutti i presenti. Il deputato dell’opposizione rilanciava con il fatto che il problema “sono e restano i giornali che scrivono e se ne fregano della privacy”. Allora, ha ribattuto il deputato di maggioranza, “ragioniamo di nuovo sulle pubblicazioni e vietiamo del tutto quelle di atti giudiziari. In fondo Costituzione parla di notizie e fatti. Non di atti giudiziari”. Ma questa sarà la battaglia dei prossimi mesi. Sempre che nel frattempo non si capisca che la riforma Orlando prima, quella Cartabia poi, i correttivi di Enrico Costa (Terzo polo) sulla presunzione di innocenza non dimostrino che siano già arrivati ad un punto di buon equilibrio.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.