Chissà se le indagini sul giro di amici e parenti che hanno aiutato l’individuazione di Matteo Messina Denaro sotto le spoglie di Andrea Bonafede hanno fatto uso di intercettazioni investigative. Cioè quelle preferite dal ministro Nordio, attuate in forma preventiva dai servizi di sicurezza come strumento di contrasto al terrorismo internazionale. Importanti perché vengono eseguite prima e a prescindere dalla commissione di reati. E che, soprattutto, non sono utilizzabili nel processo penale. Sarebbe interessante saperlo, e per molti motivi, non ultimo dei quali è la garanzia di riservatezza che lo strumento offre, dal momento in cui i dati sensibili acquisiti non subirebbero alcuna contaminazione con il processo e manterrebbero separati i due comparti, sicurezza e giustizia.

Non abbiamo la pretesa che questi concetti e lo strumento dell’intercettazione investigativa diffuso in tutta Europa ma poco in Italia, vengano compresi da Marco Travaglio e dai pubblici ministeri, in toga o in Parlamento, di cui lui fa il ventriloquo. A lui, a loro, basta poter rinfacciare al ministro Nordio il fatto che nelle indagini di ricerca del trentennale latitante Matteo Messina Denaro, insieme, supponiamo, a tanti altri strumenti di ricerca della prova come per esempio i pedinamenti ci sia sempre la possibilità di spiare dal buco della serratura. Il fatto che gli uomini dei Ros abbiano ascoltato i personaggi immersi nel brodo di coltura del latitante è sufficiente per le anime semplici. Che questa possa esser stata attività di intelligence è concetto troppo sofisticato per chi definisce le norme introdotte dall’ex guardasigilli Cartabia come “schiforme” e di Carlo Nordio sa solo dire che “in un paese civile” (chissà quale) non sarebbe ministro di giustizia. Certo nessuno dei due somiglia a quello che si chiamava Bonafede, proprio il nome scelto per mascherarsi dal latitante Messina Denaro.

Pure, la riforma delle intercettazioni preventive, inserita per insistenza del guardasigilli nella manovra finanziaria da poco approvata dalle Camere, dovrebbe segnare una svolta, nel solco di quel che Carlo Nordio, prima ancora di diventare parlamentare e poi ministro, ha sempre detto. Certo, governare è altra cosa. Si devono trovare mediazioni politiche, si devono usare toni più felpati, cui non sempre il ministro si arrende. Come quando ha detto che sulla modifica delle intercettazioni è disposto a mettere il proprio corpo e la propria carriera, “fino alle dimissioni”. Ma l’idea di separare la giustizia dalla sicurezza non è peregrina né recente. Ricordiamo una sorta di confronto a distanza tra il pm Nordio e il pm Gratteri nel 2015. Uno diceva che bisognerebbe vietare tutte le intercettazioni, tranne quelle preventive, utili come spunto investigativo ma che non hanno valore probatorio. L’altro, che allora era a Reggio Calabria, insisteva invece che non occorresse alcun limite alle intercettazioni, semmai si sarebbero dovuti punire con il carcere i giornalisti che le pubblicavano. Altri tempi, c’era Matteo Renzi presidente del consiglio e uno di quei due pm voleva diventare ministro. Invece lo è diventato l’altro.

Quando il ministro Nordio afferma, come ha fatto ripetutamente ieri dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, che nelle indagini di mafia e terrorismo, certo che le intercettazioni sono indispensabili, non si discosta da quel che ha sempre detto. E del resto proprio quando ha inserito, nella manovra finanziaria, le voci di spesa delle investigazioni preventive in altro comparto del governo rispetto alla giustizia, cioè il ministero dell’economia e delle finanze, ha inteso metterle in sicurezza. Perché ha collocato le attività di intelligence lontano dal colabrodo del circo mediatico-giudiziario, e ha anche garantito una certa sicurezza sul piano economico e di bilancio. Occorre non dimenticarsene, quando si ricordano i tagli di spesa che sono stati effettuati sull’amministrazione della giustizia proprio riguardo alle intercettazioni. Considerando i dati relativi al 2021, con le 70.000 persone soggette a captazione con 150.000 intercettazioni autorizzate dall’autorità giudiziaria con una spesa complessiva di 12.785.338,67 euro, la riduzione di spesa di 1.575.136 euro all’anno a partire dl 2023 non è neanche un taglio così drastico. Visto lo spostamento di bilancio.

In conclusione l’unica riforma finora concreta è stata proprio quella sulle intercettazioni preventive, le più adatte – ma come spiegarlo ai vari Caselli e Scarpinato – proprio a indagare sulla mafia. È per questo che il ministro Nordio dice con sicurezza che le intercettazioni “sono uno strumento indispensabile per la lotta alla mafia, un metodo chiave per la ricerca della prova, per capire i movimenti” delle persone sospettate. Ma non dimentica di ricordare che “quello che va cambiato è l’abuso che se ne fa per i reati minori”. Perché “una cosa è servirsi di intercettazioni per combattere la mafia, un’altra è far finire sui giornali persone nemmeno indagate”. Difficile da capire? Se Travaglio ha dubbi può sempre chiedere a Bonafede, stando attento a non confonderlo con l’omonimo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.