Sul “Palamaragate” serve un “approfondimento” del Csm e dei ministri della Giustizia e dell’Economia. In particolare, sul modo in cui sono stati condotti da parte del Gico, il reparto speciale della guardia di finanza, gli accertamenti delegati dalla Procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. “È fondamentale verificare eventuali irregolarità, anche dolose, da parte degli organi preposti alle indagini”, ha affermato il deputato di Fd’I Edmondo Cirielli, preannunciando una interrogazione, oltreché alla Guardasigilli Marta Cartabia, al capo del Mef Daniele Franco da cui dipendono appunto i militari delle Fiamme gialle. A destare l’interesse di Cirielli, nella vita colonnello dei carabinieri e quindi ben consapevole di come si conduce (o non conduce) un’indagine di polizia giudiziaria, alcuni articoli pubblicati da Il Riformista.

La scorsa settimana, infatti, su questo giornale erano stati riportati alcuni passaggi della a dir poco sorprendente testimonianza del maggiore del Gico di Roma Fabio Di Bella durante il processo che si sta svolgendo a Perugia nei confronti di Palamara e del suo ex collega Stefano Fava. Tralasciando l’ormai celebre funzionamento a “singhiozzo” del trojan inserito nel cellulare di Palamara, che non aveva registrato i colloqui intercorsi durante la cena del 9 maggio 2019 a cui avevano partecipato importanti magistrati, come l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, Di Bella era stato costretto ad ammettere alcune condotte molto poco commendevoli avvenute nel suo reparto. Ad esempio, quella di consegnare le informative all’indagato principale del procedimento, l’avvocato Piero Amara, prima ancora che queste fossero depositate in Procura, avvisandolo di fatto in anticipo delle perquisizioni che dovevano essere effettuate nei suoi confronti.

Le informative, tra cui quella riepilogativa di circa 800 pagine, furono consegnate ad Amara in più riprese fra il mese di gennaio e quello di giugno del 2017 dall’appuntato dell’Arma Loreto Francesco Sarcina, all’epoca in forza all’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna), il servizio segreto comandato dal generale Mario Parente, già numero uno del Ros dei carabinieri. Sarcina per questa attività di ‘postino’ era stato indagato dai pm della Procura di Perugia Gemma Miliani e Mario Formisano, gli stessi che hanno proceduto contro Palamara e Fava. Le “anteprime” del Gico avrebbero permesso ad Amara di conoscere in anticipo le mosse degli inquirenti, mettendolo in condizione di “predisporre memorie difensive”.

Dagli atti d’indagine depositati nel procedimento di Perugia, e quindi senza violare alcun segreto, è emerso il provvedimento del 22 dicembre 2016 che assegna al Gico le indagini in esclusiva su Amara. Fino a quella data, ad indagare sull’avvocato siciliano era stato il Nucleo di polizia valutaria della guardia di finanza comandato dal generale Giuseppe Bottillo. Il titolare del fascicolo, il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, amico e testimone di nozze dell’avvocato Salvino Mondello difensore di Amara, optò per assegnarle al Gico per evitare “sovrapposizioni”. La vicenda raccontata da Di Bella fa tornare alla mente la fuga di notizie, avvenuta sempre nello stesso periodo, a proposito dell’indagine Consip. In quella occasione, però, i pm romani avevano subito tolto ai carabinieri del Noe la delega investigativa, ritenendo responsabili della violazione del segreto il colonnello Alessandro Sessa ed il maggiore Giampaolo Scafarto.

In assenza di provvedimenti formali dei magistrati, toccherà allora ai due ministri chiamati in causa da Cirielli cercare di far luce sulle ragioni per cui, nonostante tutte queste “anomalie”, il Gico continui ad indagare dalla fine del 2016 e senza soluzione di continuità sull’avvocato Amara, e quindi nei procedimenti su Palamara e sulle vicende dell’hotel Champagne. Vicende che hanno suscitato in passato tali perplessità da indurre il Parlamento a larga maggioranza, compreso il Partito democratico, a dichiarare la inutilizzabilità delle intercettazioni fatte dai finanzieri agli ordini Di Bella per la violazione delle prerogative del parlamentare di Italia viva Cosimo Ferri.