Se Raffaele Cantone crede di aver chiarito i tanti dubbi, sollevati in queste settimane dal Riformista, a proposito delle modalità di conduzione dell’indagine di Perugia nei confronti dell’ex zar delle nomine Luca Palamara, diciamo subito di no. Lunedì scorso, davanti alla Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, il procuratore del capoluogo umbro ha cercato, come riferito da La Repubblica, di “blindare” l’inchiesta, interloquendo “su tutti gli aspetti oggetto della sua segnalazione”. L’audizione, per la cronaca, è durata poco più di un’ora.

Era stato lo stesso Cantone a indirizzare una istanza nei giorni scorsi al Csm con la richiesta di apertura di una “pratica a tutela”, un istituto volto a salvaguardare “l’indipendenza ed il prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria” e molto in voga negli anni dello scontro fra le toghe e Silvio Berlusconi. Il Riformista, è opportuno sottolinearlo, non ha nulla nei confronti di Cantone, un magistrato dalle indubbie doti professionali. E poi l’indagine a carico di Palamara, condotta dal Gico della Guardia di finanza, venne avviata nel 2018 durante la gestione del suo predecessore, il procuratore Luigi De Ficchy, andato poi in pensione a giugno del 2019 per raggiunti limiti di età.

Cantone è arrivato a Perugia alla fine di giugno dello scorso anno, quando era già successo di tutto: fughe di notizie a nastro, dimissioni in massa di consiglieri del Csm, “ribaltoni” fra le correnti al Csm. L’ex presidente dell’Anac, come riporta La Repubblica, ha smentito l’esistenza dell’intercettazione della cena tra Palamara, l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e altri importanti magistrati di piazzale Clodio. Cantone avrebbe affermato che «non fu programmata perché si trattava di un incontro conviviale con le rispettive mogli. In quei contesti Palamara non si lasciava mai andare a confidenze, quindi sarebbe stato inutile». Il Riformista aveva confutato questa ricostruzione, pubblicando alcuni tabulati della Rcs, la società che ha fornito il trojan, in cui si poteva leggere che il trojan era stato programmato per ascoltare cosa sarebbe successo la sera del 9 maggio.

I tabulati, va detto, sono “genuini” in quanto agli atti del Csm e della Procura generale della Cassazione. Ma la novità di questa settimana è il motivo con il quale si smentisce l’esistenza dell’ascolto della cena fra Palamara e Pignatone. Tralasciando il fatto che Palamara è stato registrato anche quando era con i figli, nella ricostruzione di Cantone c’è un passaggio che meriterebbe un approfondimento. Palamara, il pomeriggio del 9 maggio, parlando con una sua conoscente, aveva detto che quella sera sarebbe andato a cena, accompagnato dalla moglie, con Pignatone. Il colloquio fra i due, registrato con il trojan, è, per la precisione, delle ore 15.54 del 9 maggio. Questa conversazione non venne ascoltata in tempo reale o subito dopo. Venne ascoltata il successivo 13 maggio. Il dato è riscontrabile sempre tramite i predetti tabulati forniti dalla Rcs. Nei tabulati è indicato anche chi effettuò l’ascolto: il maresciallo Gianluca Orrea. I pm di Perugia come potevano sapere che Palamara la sera del 9 maggio si sarebbe recato a cena con Pignatone e le rispettive consorti se l’ascolto avvenne quattro giorni più tardi? Una domanda che meriterebbe una puntuale risposta in quanto Palamara, contattato dal Riformista, ha affermato di non aver parlato telefonicamente della cena con nessuno prima di allora.

Perplessità su tali ascolti sono state sollevate, comunque, dall’avvocato Luigi Panella, difensore del giudice Cosimo Ferri, che questa settimana ha annichilito davanti alla Sezione disciplinare l’indagine di Perugia, evidenziando come più che scoprire le corruzioni di Palamara fosse orientata a conoscere in anteprima le decisioni del Csm in materia di nomine. Ad iniziare proprio da quella del successore di Luigi De Ficchy. Tornando infine agli sms del telefono di Palamara, il Riformista come si ricorderà aveva scritto che non erano stati inviati al Csm insieme alle chat whatsapp. E Cantone avrebbe ammesso che chi si è occupato del loro invio “credeva che nel file ci fosse tutto il traffico”. Una conferma, dunque, che tale messaggistica è stata trasmessa in momenti successivi.