La cena fra Palamara e Pignatone del 9 maggio 2019 venne registrata. Dopo la clamorosa rivelazione, riportata la scorsa settimana dal Riformista ed emersa a seguito della consulenza tecnica effettuata dalla difesa del giudice Cosimo Ferri, arriva oggi la “conferma” da parte della Rcs, la società di intercettazioni che fornì alla Procura di Perugia il trojan che infettò il cellulare dell’ex zar delle nomine. Ma andiamo con ordine.

Fino al mese scorso, prima che la difesa di Ferri, leader storico della corrente di destra Magistratura indipendente, decidesse di far luce sul funzionamento del trojan, si è sempre pensato che la cena del 9 maggio del 2019 al ristorante Mamma Angelina ai Parioli fra Palamara, Pignatone e importanti magistrati romani non fosse stata registrata. Ferri è accusato dalla Procura generale della Cassazione diretta da Giovanni Salvi di aver tenuto un comportamento “gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e nei confronti dei consiglieri di Palazzo dei Marescialli, finalizzato a “condizionare le funzioni attribuite dalla Costituzione all’organo di governo autonomo della magistratura”.

Ferri aveva partecipato la sera prima, l’8 maggio del 2019, insieme all’onorevole Luca Lotti, all’incontro presso l’hotel Champagne insieme a cinque consiglieri del Csm e allo stesso Palamara. Incontro interamente registrato proprio grazie al trojan. La non registrazione della cena della sera successiva al ristorante romano sarebbe stata dovuta, invece, a un cambio di programmazione dell’accensione del trojan da parte del maresciallo del Gico della finanza (il reparto che conduceva le indagini), Gianluca Orrea. Il maresciallo, la mattina del 9 maggio, era intervenuto sul software modificando la programmazione effettuata il giorno precedente dal collega Roberto D’Acunto che prevedeva per quel giorno una accensione dalle ore 18 alle successive 23.59.

Il difensore di Ferri, l’avvocato romano Luigi Panella, aveva affidato a due consulenti tecnici altamente specializzati, l’ingegnere elettronico Paolo Reale, presidente dell’Osservatorio nazionale di informatica forense, e il dottor Fabio Milana, perito iscritto all’Albo del Tribunale di Roma, il compito di capire cosa fosse successo. Secondo i due consulenti tecnici, il trojan la sera del 9 maggio era rimasto acceso, essendo impossibile un cambio di programmazione con l’inserimento di un orario antecedente al momento in cui si effettuava tale operazione. Nel caso specifico Orrea alle 11.45 del 9 maggio aveva inserito un orario di accessione di circa 10 ore prima rispetto al suo intervento, le 2 del mattino per l’esattezza: in buona sostanza, l’avvio della registrazione era stato spostato a sedici ore prima dell’orario originariamente fissato a partire dalle ore 18 dal collega D’Acunto.

Il riscontro alle tesi dei consulenti di Ferri arriva ora direttamente dalla società di intercettazioni Rcs. Nel tabulato dell’azienda milanese che il Riformista ha potuto visionare e che vedete qui sotto, si legge chiaramente che la sera del 9 maggio il trojan rimase acceso fino alle ore 22.53. A questo punto gli scenari sono due. Nella prima ipotesi la conversazione, dopo essere stata registrata, è stata fatta sparire, al momento non si sa da chi, visto che non risulta depositata dai pm di Perugia agli atti del procedimento. Nella seconda, invece, la conversazione non è stata registrata e la Rcs ha fornito un tabulato tarocco che trae il lettore in inganno fornendo informazioni non veritiere. Il difensore di Ferri ha già annunciato che chiederà alla prossima udienza di conoscere dove sia finita questa conversazione. Lo stesso faranno le difese del pm Stefano Rocco Fava, ora giudice a Latina. Anche Fava, autore dell’esposto contro Giuseppe Pignatone, è sotto processo a Perugia e davanti la disciplinare del Csm.

Le tempistiche in questa vicenda sono importantissime. La sera prima delle cena da Mamma Angelina, l’8 maggio del 2019 all’hotel Champagne, Palamara aveva discusso del successore di Pignatone alla Procura di Roma. Il nome che era stato fatto era quello di Marcello Viola, il procuratore generale di Firenze, un magistrato “non ricattabile”, si disse. Palamara, la sera successiva, avrà dunque informato di questa decisione Pignatone? E in caso affermativo quale fu la risposta dell’attuale numero uno del tribunale pontificio? L’ex presidente dell’Anm, interpellato su questa circostanza, non ha commentato. Ma che nel silenzio tombale di tutti i giornali su questa vicenda ci siano molte cose che non tornano, lo dimostra anche l’atteggiamento della Procura generale della Cassazione. Nella scorsa udienza al Csm, Pietro Gaeta, l’avvocato generale che rappresenta la pubblica accusa, ha chiesto che venga sentito l’ingegner Duilio Bianchi della Rcs. Una testimonianza che non era stata inizialmente prevista. La Procura generale aveva citato solo i finanzieri del Gico.

Aver chiesto a dibattimento in corso di sentire anche Bianchi lascia intendere che le deposizioni dei finanzieri sull’utilizzo del trojan non sarebbero state esaustive. L’avvocato di Ferri, per la cronaca, ha gettato nel processo disciplinare un’altra “bomba” capace di azzerare tutta l’indagine di Perugia. L’articolo 268 del codice di procedura penale prevede che, per le intercettazioni, debbano essere utilizzati “esclusivamente” impianti installati nella Procura della Repubblica dove queste si svolgono. In questo caso presso la Procura di Roma, avendo i pm di Perugia chiesto la remotizzazione delle attività per agevolare il Gico della Capitale. I consulenti di Ferri hanno scoperto che il server era a Napoli e non a Roma. Questo elemento renderebbe tutto allora nullo. Una smacco incredibile per la Procura guidata da Raffaele Cantone.