«Se mi dice che non c’è, non c’è». Così rispose il colonnello Gerardo Mastrodomenico, l’ufficiale del Gico della guardia di finanza che aveva condotto le indagini nei confronti di Luca Palamara, alla domanda sul perché non fosse stato effettuato l’ascolto, tramite il trojan, di quanto avvenuto la sera del 9 maggio del 2019.

Quel giorno l’ex presidente dell’Anm si era incontrato a cena al ristorante romano Mamma Angelina con il procuratore Giuseppe Pignatone (in pensione dal giorno prima, ndr) e altri due importanti magistrati di piazzale Clodio.

Il trojan inserito nel cellulare di Palamara, come appurato dagli atti, era stato inizialmente programmato per coprire tutta la serata del 9 maggio, dalle ore 18 alla mezzanotte.
La mattina del 9 maggio, però, un operatore dalla sigla “gorrea” aveva deciso di annullare tale programmazione, non permettendo così di sapere cosa si sarebbero detti Palamara e Pignatone alla vigilia della nomina del successore di quest’ultimo.

Il consigliere di Cassazione Stefano Giame Guizzi, che assisteva Palamara nel procedimento disciplinare al Csm, ha cercato, senza riuscirci, di scoprire l’arcano.
Come già ricordato, gli ascolti con il trojan erano stati programmati “la mattina presto, l’ora di pranzo e le ore serali”.

Considerato lo «stile di vita di Palamara (in quel periodo pm a Roma, ndr), se vogliamo prendere eventuali incontri con terzi soggetti cerco di evitare l’ufficio di Procura durante l’orario di lavoro e lo metto fino a tarda sera…», aveva precisato il maggiore Fabio Di Bella, uno dei più stretti collaboratori di Mastrodomenico.

Sugli orari c’era stata «una scelta concorde con l’autorità giudiziaria di Perugia», con cui avvenivano «interlocuzioni quotidiane anche più volte al giorno».
Premessa. Una volta avviata la registrazione con il trojan non era più possibile interromperla. Bisognava intervenire prima che fosse partito l’ascolto.

Ma veniamo, dunque, alla sera del 9 maggio, ripercorrendo le domande poste da Guizzi ai finanzieri del Gico, ad iniziare proprio da Di Bella.
«Nella notte tra il 9 e il 10 maggio avevate programmato ascolti in orario notturno?», esordisce Guizzi.
«Devo verificarlo. Mi ero preparato sulle intercettazioni dei parlamentari, quindi 9 e 10 maggio non ricordo se abbiamo programmato la registrazione», risponde Di Bella, stoppando subito le altre domande di Guizzi.
È il turno dell’appuntato Fabio Del Prete.
«Si ricorda le modalità di programmazione delle intercettazioni del giorno 9; mi riferisco dalla mattina fino eventualmente la sera e oltre», la prima domanda di Guizzi.
«Le modalità venivano fatte in base agli ordini che mi venivano impartiti. Io comunque davo conto al mio comandante di sezione, risponde Del Prete.
Guizzi: «Mi ricorda chi è?».
Risposta: «Il luogotenente Binotti e il mio comandante di sezione maggiore Di Bella».
Si passa al maresciallo Gianluca Burattini.
Guizzi: «Sa per quale motivo l’ascolto non ha riguardato la fascia notturna, cioè la notte tra il 9 e il 10? Le furono date indicazioni?».
Burattini: «Conoscenza diretta del motivo no, io ricordo quella giornata perché lo programmai nella fascia oraria comprensiva del pranzo.
«Solo del pranzo?», aggiunge Guizzi.
«Io personalmente si», risponde Burattini.
E torniamo a Mastrodomenico, dopo questa indagine promosso comandante provinciale a Messina.
«Ricorda se furono date disposizioni di effettuare intercettazioni anche in quella giornata e fino a che ora?», domanda Guizzi.
«Se me lo ricollega a fatti specifici, perché così… un’indicazione specifica in tal senso, come le ho detto, non è mai intervenuta… adesso le programmazioni dei singoli giorni non le ricordo e quindi non sono in grado. Se non la ricollego ad un fatto specifico non sono in grado di poter comprendere …», la prima risposta del colonnello.
«Quindi non ci può confermare se la notte tra il 9 ed il 10 maggio non furono effettuate intercettazioni mediante captatore?», insiste Guizzi.
E Mastrodomenico: «Ritengo che comunque sia facilmente rilevabile dagli atti. Ci sono tutte le programmazioni registrate tracciabili. Se lei mi dice che non c’è, non c’è».
Guizzi non demorde. E punta l’ingegnere Duilio Bianchi della Rcs, la società che ha fornito il trojan.
«Veniva informato della programmazione?», prima domanda di Guizzi.
«No, assolutamente», la risposta di Bianchi.
Guizzi: «Quindi lei non mi sa riferire per quale ragione nel pomeriggio del 9 maggio….»
«Ha già risposto il teste. Ha già detto di no», lo blocca subito l’avvocato generale Pietro Gaeta che rappresentava l’accusa nel processo disciplinare contro Palamara.
Chi diede l’ordine di spegnere il trojan la sera del 9 maggio è rimasto un mistero.