Fatemi consultare con i miei legali e poi vi consegno tutto. Giuro. Datemi solo il tempo di capire le corrette modalità per fornirvi quanto richiesto”. Luca Palamara risponde, tramite il Riformista, ai numerosi colleghi che la scorsa settimana gli avevano scritto una lettera chiedendogli di mettere finalmente a disposizione dell’intera magistratura italiana le sue ormai celebri chat.

Fino a sentenza irrevocabile nei suoi confronti – si legge nella lettera – lei è ancora appartenente all’Ordine giudiziario: ciò che le chiediamo e di mettere a disposizione, per il tramite dell’Anm, la trascrizione integrale della messaggistica da lei intrattenuta con i colleghi del Csm e della rappresentanza sindacale, e con coloro che in qualunque modo, suo tramite, hanno interferito, nel proprio o nell’altrui interesse, sui meccanismi di selezione e di nomina della dirigenza, del Massimario, della Cassazione, degli incarichi ministeriali”.

Dopo un anno e mezzo dai fatti, il contenuto delle chat dell’ex presidente dell’Anm continua, infatti, ad essere ancora avvolto da un alone di mistero. La scorsa settimana il Riformista aveva raccontato come erano andati i fatti. Il 31 maggio del 2019 il Gico della finanza che aveva condotto le indagini, dopo aver sequestrato il telefonino di Palamara, iscritto a Perugia per corruzione, ne aveva effettuato la copia.

Le chat estrapolate vennero utilizzate per vari interrogatori e messe a disposizione del Csm e della Procura generale della Cassazione per la valutazione dei profili disciplinari solo dopo la chiusura delle indagini, il 20 aprile del 2020. Dalla lettura delle lettere di trasmissione non risulterebbero esserci gli sms. Si parla sempre di messaggistica WhatsApp e di applicativi informatici. Da qui le numerose perplessità da parte dei colleghi di Palamara.

La lettera ha superato nello scorso fine settimana le 70 adesioni. Molti sono esponenti di Articolo 101, il gruppo “anticorrenti”, come il giudice di Ragusa Andrea Reale, o il sostituto procuratore generale di Messina Felice Lima, bocciato l’altro giorno per l’incarico di componente del collegio dei probiviri dell’Anm. Fra i firmatari anche Clementina Forleo, giudice del Tribunale Roma, nota alle cronache per essersi occupata dell’indagine sulla scalata di Unipol.

Ovviamente, ma questo lo sanno bene tutti gli ideatori della lettera, si tratta di una provocazione che ha lo scopo di mettere in luce “l’inadeguatezza” dell’iniziativa etica e disciplinare dell’Anm in questa vicenda. L’Anm avrebbe invitato chi chiedeva notizie delle chat ad andare a Perugia per consultare personalmente i supporti digitali, isolare quelle rilevanti, e dimostrare che ciò non violi la riservatezza di nessuno. “Un espediente”, a detta di coloro che deciso allora di rivolgersi direttamente alla fonte.

Ma nel mirino ci sono anche le responsabilità del Csm e del procuratore generale della Cassazione per aver “minimizzato” il fenomeno del self marketing, le autopromozioni dei magistrati con Palamara. In realtà illecite e disciplinarmente rilevanti (non esiste “grave scorrettezza disciplinare” che, allo stesso tempo, possa essere “di scarsa rilevanza”, pena una illogica contraddizione, fanno rilevare alcune toghe, ndr).

A tal proposito, aggiungono, “basta osservare che le autopromozioni per gli incarichi costituiscono, a termini scaduti per la presentazione della domanda, una chiara distorsione del procedimento amministrativo di selezione dei dirigenti, attraverso l’inserimento di elementi cognitivi occulti ed inconfessabili, legati alla sodalità correntizia, in ordine ai quali si potrebbe configurare il reato di concorso in abuso d’ufficio”.

Molto criticata, dunque, scelta assolutoria di Giovanni Salvi che ha tolto la possibilità al giudice disciplinare di esaminare la vicenda in tutta la sua complessità. Il potere di archiviazione del pg, come è noto, non è soggetto a controllo. Ed è già pronta proprio per questo motivo una seconda lettera. Indirizzata a Salvi per “conoscere quali sono i provvedimenti di archiviazione che sono stati emessi dalla Procura generale della Cassazione”. Sul fronte Csm, invece, il pm antimafia Nino Di Matteo da tempo chiede, inascoltato, che queste chat vengano valutate al momento dell’assegnazione degli incarichi direttivi.