Come può il ministro della Giustizia – se esiste – non mandare subito, con grandissima urgenza, gli ispettori a Perugia, per capire come sia stato possibile dimenticarsi di scaricare gli sms dal telefono di Luca Palamara e perdere, forse in maniera irrimediabile, materiale decisivo per ricostruire tutto il Palamaragate? È strano che non li abbia già mandati per la storia dei messaggi whatsapp insabbiati, che noi del Riformista avevamo rivelato il giorno prima, ma ora davvero la questione diventa clamorosa.

Proviamo a riassumere brevemente i fatti, poi giudicate voi. Il nostro Paolo Comi ha scoperto che tutti i messaggi whatsapp di Palamara coi suoi colleghi che chiedevano raccomandazioni varie e dei quali si disponeva già alla fine di maggio del 2019, non sono stati trasmessi né al Csm né alla Cassazione per un anno intero. In questo modo si è evitato che corressero i nomi di tantissimi magistrati importanti, e si è permesso di procedere a molte nomine ai vertici delle Procure e dei tribunali in una situazione sterilizzata. È una cosa gravissima, non vi pare? Occorrerebbe una giustificazione. Forse c’è anche un reato. E come mai né la Cassazione né il Csm si erano accorti che quei messaggini whatsapp erano rimasti rintanati nelle carte della Procura umbra e non arrivavano a chi doveva conoscerli per giudicare e per aprire, se necessario, procedimenti disciplinari?

Il giorno dopo questa rivelazione, il Riformista ne fa un’altra, ancora più grave: gli inquirenti hanno avuto in mano il cellulare di Luca Palamara, sequestrato su ordine della Procura di Perugia, ma si sono scordati di scaricare gli sms. E hanno restituito il telefono a Palamara. Il quale forse ha mantenuto gli sms o forse li ha distrutti. Questo noi non lo sappiamo, e non lo sanno neppure i molti magistrati che sanno però di avere scambiato Sms con Palamara (molti magistrati usano ancora gli sms, non usano Whatsapp). E questi molti magistrati, probabilmente, dopo le rivelazioni del Riformista non stanno dormendo sonno tranquillissimi. E tuttavia resta la questione: è stato un errore gravissimo degli investigatori (un errore che ha distrutto una grande mole di materiale di indagine) o è stata addirittura una scelta consapevole? In questo secondo caso, ispirata da qualcuno? Da chi?

Ecco: tutte queste domande me le pongo solo io? Al ministero si sono accorti che è esploso un nuovo scandalo ed è stato squarciato un velo: dentro la magistratura dilagano corruzione, complicità, omertà, atteggiamenti di ostacolo alla giustizia? Possibile che il ministro non abbia ancora deciso di inviare un ispettore? Recentemente, mi pare, il ministro ha inviato ispettori a indagare su perché qualche giudice aveva firmato sentenze di assoluzione che andavano contro la condanna mediatica, o aveva prosciolto qualcuno, o scarcerato. E se invece si scopre che la magistratura sta cancellando prove e ostacolando in tutti i modi la giustizia, silenzio?

Provate a immaginare cosa sarebbe successo se quel cellulare invece di essere il cellulare di Palamara fosse stato il cellulare di Verdini, per esempio. E glielo avessero sequestrato e poi restituito senza sbirciare gli sms. Ditemi voi: cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe scritto Travaglio? Che titoli avremmo letto sul Corriere della Sera, su Repubblica, sulla Stampa?

Ecco, questa è l’altra questione. Come mai il mondo dell’informazione è del tutto disinteressato a questo scandalo gigantesco che riguarda la magistratura italiana? L’impressione è che non sia disinteressato, ma impossibilitato ad agire. Io credo che la maggior parte dei giornalisti giudiziari, prima di iniziare a fare questo mestiere, sia costretta ad un vero e proprio giuramento di fedeltà e obbedienza alle Procure. Di fronte a un santino, forse, o chissà, magari a una fotografia di Davigo. E non possano per nessuna ragione violare questo patto.

Nei giorni scorsi abbiamo parlato di regime. Non c’è una forzatura polemica. È la realtà: in Italia criticare la magistratura è proibito, ed è proibito anche processarla. La magistratura è coperta dalla stessa magistratura, che è complice di ogni degenerazione, e dalla totale assenza di libertà di stampa. Come era a Santiago negli anni 70, a Praga negli anni 80, e come è oggi, forse, in Turchia o a Teheran.

Avatar photo

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.