La montagna ha partorito il topolino. La maxi task-force messa in campo dalla Procura generale della Cassazione per analizzare le migliaia di chat contenute nel telefono di Luca Palamara ha prodotto poco più di dieci nomi. Sedici per l’esattezza. Tutto qui. Della centinaia e centinaia di magistrati che per anni hanno “stalkerizzato”, direttamente o indirettamente, l’ex zar delle nomine ed ex presidente dell’Anm, in pochissimi finiranno davanti alla sezione disciplinare del Csm insieme ai colleghi che presero parte al dopo cena all’hotel Champagne con i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri. Il Palamaragate, salvo colpi di scena, al momento alquanto improbabili, finisce dunque così. Con una colossale autoassoluzione.

La circolare del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, titolare dell’azione disciplinare, che aveva sdogonando il “self marketing togato” ha escluso dalla punibilità moltissimi magistrati. Il Csm, poi, a distanza di oltre un anno dallo scoppio dello scandalo non si è, incredibilmente, ancora dato criteri univoci per la valutazione di queste chat ai fini delle sue decisioni in merito al conferimento di incarichi o alle valutazioni di professionalità per le toghe. Una voce fuori dal coro è quella del pm antimafia Nino Di Matteo.

«Perché non possiamo valutare le chat?», ha dichiarato in Plenum questa settimana. «Siamo in possesso legittimo di questo materiale», ha aggiunto, chiedendo di analizzare una volta per tutte la condotta tenuta da Palamara con i colleghi per il conferimento degli incarichi.
L’ex presidente dell’Anm, radiato dalla magistratura il mese scorso, fino a oggi ha tenuto il massimo riserbo su quanto fatto e sugli accordi presi per le nomine dei capi degli uffici più importanti del Paese. Qualche “pizzino” ai giornali ma nulla di più. «Con le conversazioni di terzi diamo ergastoli, indaghiamo politici ed amministratori», ha sottolineato Di Matteo ai colleghi in Plenum che gli ricordavano che non era possibile valutare disciplinarmente un magistrato solamente sulla base di cosa Palamara aveva detto di lui. Insomma, sotto la scure di Salvi finiranno le retrovie: i “big” togati sono stati tutti esclusi. Ma chi sono i malcapitati? Maria Vittoria Caprara, attuale giudice del tribunale di Roma, nella qualità di segretaria della Quinta commissione del Csm, avrebbe dato informazioni riservate a Palamara, in particolare “sulla procedura di nomina del procuratore di Roma”.

Fiammetta Palmieri, anche lei ex magistrato segretario del Csm, avrebbe fornito ai “consiglieri del Csm Lepre, Cartoni e Criscuoli (coinvolti nel dopo cena dell’hotel Champagne, ndr), atti relativi alla trascrizione di intercettazioni telefoniche vincolate dal segreto”. Roberto Ceroni, sostituto procuratore a Bologna, referente di Unicost, la corrente di Palamara, in Emilia Romagna, avrebbe mirato «a far conseguire la nomina di Gianluca Chiapponi, Stefano Brusati e Silvia Corinaldesi rispettivamente ai posti di procuratore di Forlì, presidente Tribunale Piacenza e presidente Tribunale Rimini, perché appartenenti alla loro comune corrente associativa». Valerio Fracassi, presidente dei gip del Tribunale di Brindisi ed ex componente del Csm in quota Area, il cartello progressista, avrebbe ottenuto da Palamara «di espungere dall’elenco dei posti di imminente pubblicazione quello di presidente di sezione di Brindisi, trattandosi dell’ufficio dal quale proveniva e sul quale sarebbe dovuto rientrare (ufficio poi ricoperto al termine del ruolo al Csm)».

Alessia Sinatra, pm a Palermo, avrebbe tenuto un «comportamento gravemente scorretto nei confronti del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, che aveva presentato domanda per la Procura di Roma” dichiarandosi “disposta a tutto” pur di scongiurarne la nomina». Massimo Forciniti, pm a Crotone, e Claudio Maria Galoppi, consigliere giuridico della presidenza del Senato, entrambi ex consiglieri del Csm, avrebbero sollecitato insieme a Palamara un emendamento alla legge di stabilità del 2017 che permetteva agli ex togati di piazza Indipendenza di essere nominati a un ufficio direttivo senza attendere un anno dalla cessazione dalla carica. Tommasina Cotroneo, presidente sezione Tribunale Reggio Calabria, avrebbe «tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei magistrati che avevano presentato domanda per presidente di sezione del Tribunale di Reggio Calabria, al quale lei stessa concorreva, prospettando a Palamara la strategia da seguire consistente nella reiterata denigrazione di questi ultimi». Stefano Pizza, sostituto procuratore a Roma, avrebbe fatto una attività di dossieraggio, insieme a Palamara, per screditare un sostituto procuratore a Grosseto. Salvo, quindi, Marco Mescolini, procuratore di Reggio Emilia, che aveva scritto a Palamara la sera prima del voto in Plenum per la sua nomina, dopo avergli mandato per mesi decine e decine di messaggi, la celebre frase: “Ti vengo a trovare e ti porto la maglietta di PAL RE DE ROMA….”.