Nel Palamaragate non poteva non esserci anche la Benemerita. Esclusi dall’iniziale procedimento per corruzione nei confronti dell’ex zar delle nomine, i carabinieri sono stati delegati lo scorso novembre dai pm di Perugia in uno dei filoni d’indagine che hanno terremoto il Consiglio superiore della magistratura. Si tratta, in particolare, del fascicolo nato dopo l’esposto presentato al Csm dall’allora pm romano Stefano Rocco Fava nei confronti del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo.

Fava aveva “accusato” Pignatone e Ielo, in una nota indirizzata a Palazzo dei Marescialli nella primavera del 2019, di non essersi astenuti nei procedimenti a carico dell’avvocato Piero Amara, uno dei principali protagonisti del “Sistema Siracusa”, il sodalizio di magistrati e avvocati finalizzato a pilotare le sentenze al Consiglio di Stato e ad aggiustare i processi. Amara, che ha patteggiato tre anni per corruzione in atti giudiziari per compravendita di sentenze e il cui nome compare anche nelle indagini per le tangenti che sarebbero state pagate da Eni, avrebbe avuto rapporti con i fratelli dei due magistrati: il tributarista Roberto Pignatone e l’avvocato Domenico Ielo.

Fava, attualmente giudice a Latina, era in quel periodo il titolare delle indagini a carico di Amara e dell’avvocato Luca Lanzalone, l’ ex super consulente della sindaca di Roma Virginia Raggi, incaricato anche di seguire il dossier sullo stadio della A.S. Roma a Tor di Valle e presidente della Multiutility Acea. Il pm, in servizio al dipartimento reati contro la Pa di piazzale Clodio, coordinato proprio da Ielo, aveva chiesto la custodia cautelare a carico di Amara per i reati di bancarotta e frode fiscale. Pignatone, non condividendo la gestione delle indagini da parte di Fava, aveva avocato i fascicoli, per poi riassegnarli al dipartimento di Ielo. Quest’ultimo, il giorno prima del pensionamento di Pignatone, gli aveva poi scritto una nota in cui chiedeva di “soprassedere” sulle richieste di custodia cautelare avanzate da Fava, “ritenendo necessarie ulteriori attività istruttorie, valutando insufficiente la provvista indiziaria”.

Secondo gli inquirenti Fava per vendicarsi di ciò, insieme a Palamara, avrebbe allora ordito una campagna di diffamazione sui giornali nei confronti dei due magistrati, riportando particolari dell’esposto in questione.
I carabinieri di Perugia, delegati a sorpresa dai pm Gemma Miliani e Mario Formisano e dall’aggiunto Claudio Pedrazzini, hanno in queste settimane cercato di ricostruire quanto accaduto. Si è trattata di un’indagine molto particolare: il materiale su cui i carabinieri agli ordini del colonnello Giovanni Battista Mele hanno effettuato gli accertamenti è, infatti, quello raccolto dai finanzieri del Gico con le tanto discusse intercettazioni tramite il virus trojan. L’esito è sorprendente: se al Csm dell’esposto di Fava sono si sono perse le tracce, a Perugia il suo autore, invece, è stato “bastonato”.

Fava risulta essere indagato per accesso abusivo al sistema informatico, favoreggiamento e rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio. Nel procedimento in questione sono stati ascoltati gli aggiunti Rodolfo Maria Sabelli e Paolo Ielo, i togati Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, la segretaria generale del Csm Paola Piraccini, l’ex pm antimafia Cesare Sirignano. Interrogati anche i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. Palamara è stato sentito tre volte. Quello che emerge sono i rapporti tesissimi all’interno della Procura di Roma. Palamara, che dopo aver terminato il mandato al Csm era tornato a piazzale Clodio, ha affermato spesso, confidandosi con Fava, di essere “sotto ricatto”. Ma non ha mai detto da parte da chi. Per fare chiarezza nei giorni scorsi si è dichiarato disponibile a raccontare i fatti davanti la prima Commissione del Csm. Non resta che aspettare.