Le dichiarazioni rese da Duilio Bianchi, che hanno confermato il trasferimento delle intercettazioni captate tramite trojan sul telefono di Luca Palamara “a Napoli presso il loro ufficio e che poi sarebbe trasferito alla procura partenopea”, mettono “una pietra tombale sulle intercettazioni”.

A dirlo è l’avvocato Benedetto Buratti, uno dei difensori di Palamara, dopo l’udienza preliminare a Perugia in cui è stato sentito Duilio Bianchi, direttore di divisione della Rcs, la società specializzata in intercettazioni che ha fornito il trojan con cui erano state effettuate le intercettazioni nei confronti dell’ex pm di Roma.

Bianchi è stato sentito dal gip di Perugia nell’ambito dell’udienza preliminare a carico di Palamara, assistito da un legale in quanto indagato in un procedimento connesso (a Firenze per frode in forniture dopo la presentazione di un esposto da parte dell’ex consigliere del Csm e di Cosimo Ferri). Il suo legale ha spiegato al termine dell’udienza che il suo assistito “ha risposto, è andata bene e ha chiarito. Il suo è stato un ruolo puramente tecnico e tecniche sono state quindi le spiegazioni fornite”.

Dichiarazioni, quelle di Bianchi, necessarie dopo che nell’udienza del 23 aprile scorso il procuratore Raffaele Cantone ha depositato un verbale reso alla Procura di Firenze da Bianchi in cui quest’ultimo ammetteva dell’esistenza di un server intermedio collocato a Napoli, per l’esattezza all’Isola 5E del centro direzionale del capoluogo campano, prima di arrivare a quello ‘ufficiale’, appoggiato per esigenze logistiche a Roma. Insomma, il trojan trasmetteva il contenuto del cellulare non direttamente alla Procura né alla Guardia di finanza, come prevede la legge, ma lì dove ci sono gli uffici della Rcs. Ma che esistesse una server a Napoli e che funzionasse perfettamente lo avevano da sempre sostenuto i difensori di Palamara e di Cosimo Ferri alle udienze davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

Un passaggio negato in passato da Bianchi e dalla Rcs davanti al Csm. Tra le conversazioni intercettate che sono passate a Napoli c’è anche quella ormai celebre all’hotel Champagne con 5 (oggi ex) togati del Csm e i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri.

Secondo quanto riferisce l’Ansa, Bianchi avrebbe spiegato il funzionamento del sistema che, in base alla sua versione, non poteva subire ‘interventi’ esterni. L’unico infatti che può accedere, sempre in base alla deposizione del direttore di divisione di Rcs, è l’amministratore di sistema e questo escluderebbe la possibilità di intervento sulle intercettazioni.

Una versione che non convince Palamara e il suo legale, l’avvocato Buratti. Il passaggio delle intercettazioni nel server di Napoli per l’avvocato “è in palese violazione della norma sulle intercettazioni mediante captatore informatico e lo sarebbe anche per quanto riguarda anche quelle tradizionali”. Secondo Buratti infatti il server partenopeo di Rcs “non è ‘di transito’”, come lo aveva definito Bianchi, e su questo punto interverranno “i nostri consulenti”.

In virtù di quanto riferito da Bianchi, l’intenzione della difesa di Palamara è di chiedere di “rendere inutilizzabili” quelle intercettazioni, ma “se il giudice vuole approfondire noi non siamo contrari a fare una perizia”, chiarisce Buratti.

L’udienza preliminare è stata aggiornata al 17 maggio prossimo quando verranno sentiti gli esperti della Polizia Postale che stanno eseguendo gli accertamenti sul server a Napoli.

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