Qualcuno li chiama patti di desistenza, mentre da altri vengono definiti inciuci. L’obiettivo, al di là delle etichette, è comunque sotto gli occhi di tutti: cercare di arginare l’onda della destra in Francia. Ciò che invece non risulta ben chiara è la risposta che arriverà dall’elettorato macronista: si recherà alle urne per contrastare una possibile vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella o si assisterà a un astensionismo di massa?

L’interrogativo ha radici profonde, visto che non tutti saranno disposti a votare i progetti di Jean-Luc Mélenchon. Anzi, c’è chi li reputa del tutto insostenibili e addirittura peggiori di quelli del RN. Allora ci siamo domandati: i riformisti italiani come si comporterebbero al secondo turno di domenica se fossero elettori francesi? Lo abbiamo chiesto direttamente ad alcuni esponenti della cultura riformista nostrana: da una parte c’è chi non si getterebbe affatto a occhi chiusi tra le braccia del Nuovo Fronte Popolare; dall’altra si trova chi – pur in forte imbarazzo – si mobiliterebbe a tutti i costi per contrastare la desta.

Pierluigi Battista, giornalista e scrittore, non ha dubbi: imboccherebbe la strada dell’astensione piuttosto che precipitarsi al seggio contro Bardella. «Mi rifiuterei di scegliere tra il partito della Le Pen, con cui mi dividono mille cose, e un’accozzaglia che tiene dentro anche la sinistra antisemita di Mélenchon. Me ne starei a casa», spiega. Fabrizio Cicchitto, personaggio di spicco dell’allora stagione socialista e successivamente capogruppo del Popolo della Libertà alla Camera dei deputati, bolla come «una follia» la scelta intrapresa dal presidente Emmanuel Macron. Ma, «con la morte nel cuore», sosterebbe il Nuovo Fronte Popolare «unicamente per evitare che la destra stravinca».

Arturo Parisi andrebbe sicuramente a votare, e sceglierebbe guardando alla posizione politica dei candidati e del loro supplente, guidato da una sola regola: «Democratico vota democratico, riformista vota riformista, europeista vota europeista». E se tra i candidati non ci fosse nessuno che la soddisfa allora l’ex ministro della Difesa opterebbe per un voto bianco: «Comunque la mia scommessa nella democrazia non mi consente di considerare nessuno dei miei concittadini come un “nemico del mio paese”, come purtroppo sento dire con troppa leggerezza per giustificare una convergenza pregiudiziale tra il centro e la sinistra. Il giudizio decisivo sarebbe per me quello dell’affidabilità del candidato».

Anche Sergio Scalpelli prova a delineare diversi scenari: «Se nel mio collegio, al ballottaggio, competessero un candidato del Rassemblement National e un candidato di sinistra, tendenza Glucksmann, voterei senza dubbio per quest’ultimo. Diverso se la competizione fosse tra esponenti del RN e di France Insoumise, la sinistra più populista d’Europa». Ovvero sceglierebbe di non scegliere tra Mélenchon e Bardella: «Mi affiderei a Santa Globalizzazione, che dovrebbe impedire che paesi importanti come la Francia facciano troppe cazzate, mi attrezzerei a ricostruire». Non a caso il giudizio del direttore del Centro Internazionale di Brera ed ex assessore del Comune di Milano verso il leader del NFP è assolutamente negativo: «Parla di nazionalizzazioni, è palesemente euroscettico, almeno tanto quanto la destra, dice di voler introdurre una sorta di protezionismo economico e sociale, non gli piace la concorrenza, considera ricchi quelli che hanno un patrimonio che sta nell’intorno dei 500mila euro, è pauperista, detesta la Nato, ha molti tic dei putinisti e odia Israele».

Abbiamo raccolto le voci anche delle nostre autorevoli firme riformiste. A partire da Claudia Mancina, che cura la rubrica Resistenza Riformista: «Io voterei le sinistre, turandomi il naso». Dal suo punto di vista il Nuovo Fronte Popolare «non è meglio del Rassemblement», ma tiene a precisare due differenze di peso: «Tra le sinistre c’è Glucksmann che dopo il voto riprenderà la sua libertà. Inoltre una vittoria di Le Pen avrebbe conseguenze gravi per l’Europa, perché è contro ogni forma di integrazione europea. Mélenchon è uguale, ma non può vincere. Dunque si vota il meno peggio. Lo spiegava già Condorcet».

Più sfumata la posizione di Giuliano Cazzola, ogni settimana sulle colonne di Cazzolate, che si avvarrebbe dell’opportunità di valutare i candidati che in diversi collegi saranno tre: «Se il terzo di Ensemble desistesse, potrei votare il candidato del Nuovo Fronte Popolare solo se fosse un moderato. Ma non voterei mai un estremista di Mélenchon o di qualche altra forza della sinistra radicale, ivi incluso il PCF. Così finirei per astenermi. Come osservatore, non vedrei male una coabitazione che suturi, nei fatti, la ferita di Vichy, come da noi quella della RSI».

Lo storico Paolo Macry non appoggerebbe i candidati di un RN «lontano dalla cultura liberale, dall’Europa politica, dall’impegno per Kiev». Stesso discorso per gli esponenti di una sinistra «che contiene molti di quegli stessi veleni». «Forse resterei a casa. Tristemente, certo, e tuttavia senza aspettarmi l’Apocalisse del day after». L’elettorato moderato è al bivio: votare per Mélenchon o astenersi. Ai macronisti francesi l’ardua sentenza.