La tragedia di Ardea
Andrea Pignani, il killer di Ardea e quei segnali di disagio ignorati
Quando ho sentito che il tutto si era consumato a Colle Romito, vicino Ardea, ho stentato a crederci. Un posto che è quanto di più distante si possa immaginare dal Bronx. Da ragazzo, ospite di Ciccio, ho trascorso diverse vacanze lì. Ed è lì che ho conosciuto Faccione, Cianna, Sugo, Enri e Fracche. D’estate, è un luogo ameno per comitive di giovani come eravamo noi e, d’inverno, un rifugio temporaneo dai mali della metropoli. O a volte permanente, per chi decida di trascorrere la pensione nella calma e nella serenità, respirando aria iodata e profumo di campagna, ma senza emigrare all’estero, restando alle porte di Roma.
Calma e serenità, turbate al più da dispute sulla potatura delle piante o sull’uso scorretto dei cassonetti dell’immondizia. Stavolta invece l’inimmaginabile. Vicende simili le abbiamo sentite raccontare spesso dai corrispondenti dagli Stati Uniti: la pistola comprata al supermercato trasformata nello strumento di una strage. La concomitanza di disagio sociale diffuso e facilità di reperire un’arma, sancita solennemente nella costituzione americana come presunta garanzia del diritto alla difesa personale, produce a volte frutti avvelenati. Prescindendo da ogni considerazione ideologica, è evidente che in un Paese in cui l’assistenza medica non è ritenuta diritto inalienabile dell’individuo, la salute fisica e psichica di certa parte della popolazione sia a rischio. Se a questo si aggiunge che chiunque può disporre legalmente di un’arma, la probabilità di eventi sconsiderati diventa una certezza statistica. L’Fbi stima che nel 2021, se la progressione dei primi mesi dell’anno sarà costante, negli Usa saranno venduti oltre 30 milioni di nuove armi, che si aggiungeranno a quelle già detenute.
È come un’enorme roulette, con centinaia di milioni di caselle, alcune delle quali fatalmente corrispondono a individui psichicamente labili. Italo Svevo conclude la Coscienza di Zeno immaginando che un “uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato” possa mettere le mani su una potente arma e provocare un’immane catastrofe. Siccome di ammalati purtroppo ce ne sono parecchi e non hanno nessuna difficoltà a procurarsi un’arma negli Usa -per quanto non così potente come quella paventata da Zeno Cosini- i presupposti per il ripetersi di queste tragedie ci sono tutti. Ma questi appunto sono gli Usa, con le loro luci e lo loro ombre tenebrose. Noi siamo in Italia! Qui l’assistenza sanitaria è garantita e gratuita. Il porto d’armi è difficilissimo da ottenere e viene concesso unicamente a chi dimostra di soddisfare tutti i requisiti di reale necessità e di imperturbabile equilibrio psichico.
Quando in passato volli provare a fare un po’ di tiro a segno al poligono di Roma, mi trovai nella condizione di dover affittare ogni volta la pistola. Si trattava di un vero cimelio tutto sbilanciato, che esaltava le mie incapacità di tiratore, e pensai quindi di comprarmene una tutta mia. Non sto parlando della 44 Magnum dell’Ispettore Callaghan, ma della più piccola pistola da tiro a segno, una calibro 22, del tutto inadatta alla difesa personale. Pur potendo dimostrare l’iscrizione al poligono e l’intenzione di usarla solo a quello scopo (esclusa cioè ogni possibilità anche di tirare a un barattolo in un campo deserto, cosa giustamente proibita), tra le altre richieste che mi vennero fatte c’era quella di trasportarla non solo scarica, ma smontata: avrei dovuto smontarla alla fine dell’allenamento e rimontarla quando sarei ritornato al poligono. Non solo. Dovevo dichiarare il percorso che avrei seguito da casa al poligono e ritorno, che sarebbe dovuto essere il più breve.
Ogni deviazione accertata sarebbe stata considerata una violazione flagrante della legge che disciplina il trasporto di armi sportive. Non so dire se fosse una precauzione eccessiva, dal momento che una pistola scarica, chiusa nel suo contenitore, è un pezzo di ferro né più né meno della tabacchiera del nonno o del lucchetto della moto, per cui grossi danni non può fare. Una tale richiesta, però, testimonia la cura meticolosa da parte del legislatore nel prevenire anche la minima possibilità di incidente con armi da fuoco. Andrea Pignani invece disponeva di una pistola professionale. Dicono che l’avesse già usata in precedenza, per sparare in aria. La gente aveva pensato che fosse una scacciacani e non se ne era preoccupata molto. Pignani quella pistola non l’aveva comprata di contrabbando. Forse non avrebbe mai neanche pensato a cercarne una e, anche se ci avesse pensato, non sarebbe stato certo facile per una persona schiva e problematica come era lui. No, a quanto risulta, Pignani quella pistola se l’era ritrovata tra le mani. Sarebbe infatti appartenuta a suo padre, una guardia giurata. Alla morte di questi non sarebbe stata segnalata ai carabinieri.
Le indagini sono in corso ed è prematuro trarre conclusioni. Ma se venisse confermata questa versione, sarebbe sorprendente che alla morte di una guardia giurata, necessariamente armata per ragioni professionali, ci sia bisogno di segnalazioni. Probabilmente sarà previsto un protocollo o una procedura da attuare in questi casi, se è vero come è vero che è obbligatorio smontare anche una pistoletta da tiro a segno e filare dritti a casa senza fare deviazioni. Eppure, se Pignani sparava in aria con la pistola del defunto papà, qualcosa non deve aver funzionato, sia nel suo cervello, che nel protocollo di ritiro dell’arma e delle munizioni. E non finisce qui. Sempre stando alle indiscrezioni, tutte ancora oggetto di accertamenti e verifiche, lo stesso Pignani sarebbe stato sottoposto poco tempo prima del delitto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio per aver minacciato fisicamente la madre, salvo poi essere dimesso il giorno seguente.
Un Tso non dovrebbe indurre a fare qualche indagine, per capire se si sia trattato di un evento isolato o se ci siano stati altri segni premonitori di squilibrio mentale? E, senza ricorrere a provvedimenti estremi, non sarebbe stato il caso di tenere sotto osservazione il soggetto nel periodo successivo? Bastava informarsi e avrebbero saputo, come sappiamo ora noi, che sparava con una pistola, cosa vietata anche se si fosse trattato di una scacciacani. Qual è la riflessione provvisoria su questa vicenda? Che se è pur vero che a volte le tragedie si consumano per motivi imprevedibili, o che comunque trascendono la nostra capacità di valutazione, è altrettanto vero che nella maggior parte dei casi è un difetto di sistema che le rende possibili. Se uno guida l’automobile coscienziosamente, rispettando i limiti di velocità, osservando la segnaletica, concedendo la precedenza, facendo controllare spesso lo stato di efficienza del veicolo, non è impossibile che per una improvvisa scossa di terremoto gli frani la strada sotto le ruote e venga inghiottito da una voragine.
Non è impossibile, ma quante volte è capitato? Certo pochissime, forse mai. Allo stesso modo non si può escludere categoricamente che un individuo di solito lucido, mansueto, posato, sia colto da un accesso improvviso di follia e aggredisca la prima persona che incontra per la strada con un oggetto contundente trovato in quell’istante per terra. Non si può escludere, ma io non l’ho mai sentito. La regola generale, cioè anche a prescindere da questa circostanza specifica, è che le disgrazie avvengono quando si verificano le condizioni affinché avvengano. Che si tratti di un forchettone che blocca il sistema frenante di una funivia, di un ponte che crolla perché le strutture sono ormai prossime al cedimento, o di uno squilibrato che si ritrova nel cassetto la pistola e le munizioni del defunto padre, raramente si può attribuire la piena responsabilità di una tragedia al destino cinico e baro.
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