“Non ci credo, è tutto così strano: devo ancora metabolizzare”. Alex Pompa, il 20enne che uccise il padre violento Giuseppe a Collegno (Torino) la sera del 30 aprile 2020, non trova le parole per commentare la sentenza di assoluzione dall’accusa di omicidio volontario. “Il fatto non costituisce reato” è il giudizio della Corte d’Assise di Torino, che ha regalato la libertà al giovane che ha ucciso a coltellate il padre per proteggere la madre dall’ennesima aggressione. Per i giudici Alex ha agito per legittima difesa. La tesi è sempre stata sostenuta dal difensore dell’imputato, l’avvocato Claudio Strata.

La vicenda

Dopo anni di soprusi e violenze nei confronti della madre e di suo fratello Loris, Alex pone la parola fine su un orrore che durava da troppo tempo. La sera del 30 aprile 2020, dopo l’ennesimo litigio tra il padre Giuseppe e la madre Maria, il giovane interviene, colpendo per 34 volte con sei coltelli da cucina diversi quell’uomo violento. Quando capisce che il padre è morto, chiama i carabinieri. Il fratello Loris assiste all’omicidio: “Non ricordo, sono rimasto paralizzato dalla paura”.

Il verdetto

Il padre Giuseppe, 52 anni, è stato descritto al processo come persona irascibile, aggressiva, molesta e ossessionante. L’uomo non perdeva occasione per umiliare e svilire Maria. E quando diventava aggressivo e violento, Alex e Loris si mettevano in mezzo per difendere la madre. Alex, soprattutto.

I familiari avevano cominciato a registrare di nascosto le frequenti sfuriate dell’uomo, che sono state fatte ascoltare in aula. Novecento pagine di trascrizioni e 250 file audio, registrati tra la fine del 2018 e l’inizio del 2020, per un totale di 9 ore e 47 minuti.

Il pm Alessandro Aghemo aveva chiesto una pena che teneva conto di un’unica circostanza attenuante: la perizia psichiatrica che indica l’imputato seminfermo di mente. “Sono costretto a chiedere 14 anni applicando la riduzione della seminfermità, ritenendo le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di aver ucciso un congiunto. Ma invito la Corte a tenere presente anche un altro elemento: la provocazione subita”, aveva spiegato il magistrato, invitando i giudici a interpellare la Corte Costituzionale per una questione legata all’impossibilità di concedere la prevalenza delle attenuanti rispetto all’aggravante del vincolo di parentela.

Secondo il magistrato si trattò di un omicidio volontario in piena regola perché in quel frangente “non c’era una vera situazione di pericolo”: un’impostazione che il difensore del giovane Strata, nel corso della sua arringa, ha definito “inaccettabile” ricordando che nel 2018 il fratello dell’imputato, Loris, in un messaggio inviato allo zio prima dell’omicidio scrisse, riferendosi al padre, “prima o poi ci ammazza tutti”.

Su audio, testimonianze, racconti e sentimenti, i  giudici hanno meditato a lungo fino a giungere al verdetto finale. Alex è stato segnato nel profondo dal clima violento che si respirava in casa tanto da “soffrire di un disturbo post traumatico da stress”, si legge nella consulenza psichiatrica degli esperti.

“Voglio riprendere in mano la mia vita”

Alex non si aspettava di essere assolto. “Ho sempre confidato nella giustizia, ma non mi sono mai illuso. Fa parte del mio carattere. Sono così anche quando affronto gli esami all’università”, ha detto ai giornalisti commentando la sentenza.

Il giovane a Repubblica racconta che durante il processo ci sono stati momenti difficili e che ha temuto di non “riuscire a spiegare tutto quello che abbiamo vissuto. Non eravamo una famiglia normale, per noi non sono mai esistiti compleanni e Natali come momenti felici. Non ho mai potuto essere libero di uscire con gli amici o con la mia fidanzata senza che il pensiero non fosse rivolto a mia madre, a quello che in casa le poteva succedere”, ha detto il giovane. Il momento più duro è stata l’attesa del verdetto, in particolare gli ultimi minuti. Per Alex, però, determinanti sono state le registrazioni fatte ascoltare in aula. “Le registrazioni che abbiamo portato e fatto ascoltare in aula sono stati la chiave. Hanno restituito cosa accadeva in casa nostra. Mio padre era un uomo malato, ossessionato dalla gelosia e dal controllo verso mia madre. Avrebbe avuto bisogno di cure. Sentire la sua voce in aula, negli audio, non è stato facile”.

Il ventenne porta su di sé il peso di aver ucciso il padre, considerato un uomo malato e bisognoso di cure. “Avrei preferito morire io piuttosto che uccidere mio padre”, ha detto Alex in più occasioni.

Dopo anni di dolore e violenza, Alex inizia un nuovo percorso: “Adesso voglio solo tornare a casa e riprendere in mano la mia vita. Vedere la partita dell’Inter, cenare con la mia famiglia. Fare una vita normale”. Una possibilità arrivata grazie alla generosità dell’imprenditore Paolo Fassa Bortolo, a cui il ragazzo è profondamente grato.

La generosità dell’imprenditore

Ad ascoltare il verdetto in aula c’era anche l’imprenditore veneto Paolo Fassa Bortolo, descritto dai familiari di Alex familiari come a “un angelo custode”. L’uomo, 80 anni, 80 anni, si è impegnato a sostenere le spese legali del giovane. “Avevo sentito questa storia al telegiornale – racconta Fassa – ed ero rimasto impressionato dal fatto che gli insegnanti spendessero tante buone parole per lui. Così ho chiesto di parlargli. E ho avuto la conferma che è davvero un bravo ragazzo”.

Al momento della lettura della sentenza Fassa è scoppiato in lacrime. “Sono contentissimo, ho sempre creduto nella sua innocenza, oggi ha vinto la giustizia”. Qualche ora prima l’imprenditore aveva raccontato il suo rapporto con Alex: “In questi mesi ci siamo parlati tante volte e ho capito che è davvero un bravo ragazzo, non meritava il carcere”. È stato lo stesso Fassa a individuare Claudio Strata, l’avvocato penalista che ha difeso il ragazzo in aula. “Per me è come se fosse un secondo nonno”, ha dichiarato Alex Pompa.

“Ci ha salvato la vita”

Il giudizio della Corte d’Appello di Torino è stata accolta con gioia dai familiari del ragazzo e dal legale Strata, che ha sempre insistito sulla legittima difesa del suo assistito. “Questa assoluzione è la cosa più giusta, speravo in una sentenza giusta e credo questa lo sia. Ci ho creduto dal primo giorno, da quando ho sentito i primi due o tre audio e il racconto di Alex. Non ho mai avuto un dubbio, la speranza di arrivare a questo risultato non ci ha mai abbandonato”, ha commentato l’avvocato a seguito della sentenza.

Adesso per il ragazzo è il momento di ricominciare e di vivere in piena libertà, lontano dalla paura: “È la fine di un incubo”, insiste la mamma. “Vogliamo ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine. Noi sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto la morte in faccia e non ci stancheremo mai di ripetere che Alex ci ha salvato la vita”.

La pensa così anche il fratello di Alex, Loris. “Noi ci abbiamo sempre creduto, sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto l’inferno e la morte in faccia e quando diciamo che Alex ci ha salvato la vita è perché è così”.

“Ringraziamo questa Corte che ci ha creduto – ha aggiunto – la chiave di tutto stava negli audio, sentendoli con le minacce di morte, i vari insulti a mia madre, allora si capisce tutto”.