La reazione
Ilaria Salis ai domiciliari, il basso profilo di Antonio Tajani nel corto circuito mediatico-giudiziario

Solo un’anima candida avrebbe potuto immaginare una pacificazione nazionale dopo la decisione del governo ungherese di concedere i domiciliari a Ilaria Salis (anche col pagamento di una cauzione di circa 40mila euro). Fondamentalmente non è cambiato niente, almeno per quel che riguarda la polemica politica di casa nostra. Ci pensa Libero, col consueto dono della sintesi, a far capire l’aria che tira ieri mattina. Titolone di apertura: “Salis scarcerata, papà ingrato”. Occhiello da Pulitzer: “compagni ipocriti”.
È la risposta alle parole del papà di Ilaria, Roberto, che ha subito fatto conoscere la propria posizione in merito all’impegno del governo. E a Repubblica ribadisce il proprio pensiero: “Tutta questa attenzione e quest’impegno del governo per i diritti dei suoi cittadini io francamente la vedo ancora molto nebulosa. Li dovrei ringraziare? Lasciamo stare… Su questa storia io non ho dei sassolini nelle scarpe, ho della ghiaia, ho i piedi sanguinanti e prima o poi svuoterò i cassetti di quel che ho da dire. Di certo come cittadini siamo stufi di dover implorare le istituzioni, che dovrebbero essere al servizio dei cittadini e che paghiamo per questo, affinché facciano il loro lavoro. Noi non abbiamo visto alcuna volontà concreta né da parte di Tajani né da parte di Nordio”.
La provocazione
I giornali governativi sono belli caldi. Come sempre, del resto. Il Giornale risponde con apertura e editoriale di Sallusti che comincia così: “Non si è mai visto un governo fascista intercedere con forza per far liberare da uno Stato estero la donna diventata simbolo della sua opposizione, che l’ha pure candidata alle imminenti elezioni europee”. È poi passa a una provocazione che in realtà meriterebbe ben altra considerazione visto il corto circuito mediatico-giudiziario che ci tiene incatenati da oltre trent’anni: “Ora ci aspettiamo che per pareggiare il conto Orbán interceda con l’Italia per risolvere una grossa ingiustizia che abbiamo in casa nostra. Quella di un governatore, Giovanni Toti, agli arresti senza aver spaccato la testa a nessuno, né rubato un solo euro. In Ungheria non potrebbe succedere”.
Ma al vero cuore della vicenda ci arriva il quotidiano di Belpietro La Verità che in prima pagina, a firma Giorgio Gandola scrive: “Salis scarcerata: i giudici rovinano la campagna elettorale a Fratoianni”. Svolgimento: “Salis è stata invitata a salire sul carro dell’Alleanza Verdi Sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che l’hanno messa in lista – capolista al Nordovest e seconda nelle Isole – sperando di trasformarla in martire della «democratura fascista» di Viktor Orbán. Lei, eroina antifa perseguitata dalle destre. Lei, vessata solo per avere aggredito tre reprobi neonazisti (dettaglio che sempre depenalizza a sinistra ogni potenziale reato). Lei, Carola Rackete brianzola dei diritti universali contro l’ombra nera che percorre l’Europa. Narrazione così deliziosamente radical. Ma con il provvedimento di ieri i geniali giudici ungheresi del Riesame, digiuni di melodrammi italiani, hanno ottenuto due risultati con una sola mossa: hanno mandato Ilaria a casetta sul Danubio e la campagna elettorale della sinistra gruppettara a farsi benedire”.
Il succo della questione
È il succo della questione. Come dimostra la reazione del manifesto che in prima pagina si rifugia in un titolone da assemblea anni Settanta: “Questione politica” e dentro scrive: “L’annunciata uscita di galera è con ogni probabilità frutto anche di un calcolo (cinico) del governo ungherese – che controlla l’apparato giudiziario del paese molto più di quanto sia disposto ad ammettere -: il tentativo è quello di spegnere la vicenda, il poter dire ‘vedete, è libera, cosa c’è di strano?’”. Una tesi da coda di paglia che rende ulteriormente più credibili le versioni dei giornali di governo. Della povera Ilaria, che dopo quindici mesi di carcere duro potrà dormire in una casa, pare non interessarsi nessuno. Il ministro degli Esteri Tajani è uno dei pochissimi a mantenere il low profile: “L’Italia ha sempre lavorato sottotraccia e quando si lavora sottotraccia e non si suonano i tamburi i risultati si ottengono”. Almeno per ventiquattr’ore possiamo celebrare il primato della politica.
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