Sergio Mattarella era fra i deputati che nel 2001 votarono la riforma del titolo V, che contiene l’articolo 116, 3° comma, da cui deriva la facoltà di attivare il cosiddetto regionalismo differenziato. Inoltre è stato a lungo parlamentare eletto in una Regione – la Sicilia – che gode di una forma di differenziazione, vale a dire la specialità. Già solo per questi motivi, pensare che il presidente potesse usare il suo potere di veto sospensivo sulla legge che introduce norme di cornice per la differenziazione di cui all’articolo 116, 3° comma (una legge di per sé costituzionalmente non necessaria, ma certo in nulla nociva, anche se – per carità – tutto è perfettibile), era pura fantasia costituzionale: un’idea da cervello pentastellato, insomma.

Al di là dei tanti problemi che restano aperti sulla questione dell’autonomia differenziata e che riguardano il modo di conformarla in ciascuna Regione che la richieda e l’impatto sull’assetto complessivo delle funzioni pubbliche e sul loro finanziamento, il furore ideologico centralista contro l’autonomia differenziata in quanto tale è una forma di grave superficialità costituzionale. Al punto che è legittimo chiedersi se coloro che criticano questo tipo di autonomia non stiano in realtà mettendo in discussione l’autonomia regionale in sé, dato che buona parte dei loro argomenti contrastano frontalmente con il principio autonomista. E quest’ultimo è uno dei cardini non solo della riforma del titolo V, ma della stessa Costituzione del 1947 (articolo 5).

Si può capire che cinicamente il Partito democratico usi questa battaglia per raccattare consensi al Sud: dopo tutto è la stessa cosa che – diciamo così a parti invertite – ha fatto la Lega in Veneto e in Lombardia quando, negli scorsi anni, ha spacciato per autonomia differenziata il trattenimento dei nove decimi degli introiti fiscali sul territorio regionale. Cosa che, come è ben noto, è tutt’altro rispetto a ciò che l’autonomia differenziata può essere. Ma ormai siamo abituati al fatto che la menzogna è un’arma politica utilizzata con frequenza. Meno comprensibile è che i vescovi del Sud, o alcuni di essi, abbocchino al populismo costituzionale del Pd. In quest’ultimo caso, l’offesa alla verità dimentica che sono stati i cattolici italiani a ispirare in chiave autonomistica sia la Costituzione del 1947 sia la riforma del 2001. Ed è forse dovuta a una formazione culturale, e in particolare storico-sociale, piuttosto superficiale, che sembra ormai una delle cifre distintive di una parte rilevante dell’episcopato selezionato da qualche tempo a questa parte.

Marco Olivetti

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