Caro direttore,
Condivido totalmente il tuo articolo “Tra ignoranza e malafede” e quindi non ripeto le tue considerazioni politiche e culturali. Stiamo parlando di una norma costituzionale voluta dal centrosinistra, votata con un referendum, e quindi con il sostegno di un consenso popolare. Inoltre il governo Gentiloni ha approvato una bozza di intesa a febbraio 2018 con l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia. E ricordo che a suo tempo il Presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (con vicepresidente Elly Schlein) aveva presentato un bel progetto, che non toglieva neanche un soldo al Sud, un progetto, fra l’altro, discusso con tutte le strutture territoriali, sociali, economiche, culturali e con gli enti locali della regione: lo aveva fatto, non facendo buttare via soldi in referendum regionali, come hanno fatto Lombardia (50 milioni) e Veneto (titolo, di ulteriore merito per Bonaccini e il PD emiliano-romagnolo). Ma il PD nazionale lo ha lasciato solo. Aggiungo che sul referendum lombardo promosso dalla Giunta Maroni si erano pronunciati a favore tutti i sindaci del PD, in primis Sala e Gori.

Stiamo parlando anche di una proposta che oggettivamente è un cuneo politico tra la Lega e Fratelli d’Italia, e anche tra la Lega salviniana lepenista e la Lega padana di Zaia, Fontana e Fedriga. Rimango un po’ stupito che le forze del centrosinistra non vadano all’attacco su questo punto: se pensano di recuperare voti al Sud, non sostenendo l’autonomia differenziata, fanno un magro calcolo. Posso capire che lo facciano i 5 Stelle, ma che lo faccia il PD è un mistero politico. E come non vedere il malgoverno, gli sprechi, la cattiva gestione dei trasferimenti statali in Regioni dove l’abusivismo, l’assistenzialismo e l’illegalità è ampiamente presente, con il corollario di un diffuso clientelismo, che incide anche sul voto politico. E purtroppo anche al Nord ci sono situazioni di gestione regionale molto diverse e alcune del tutto insoddisfacenti: non basta la propaganda, ci vuole la politica! Fra l’altro, fare la campagna del sud contro il nord, è un clamoroso errore politico del centrosinistra, che mette sullo stesso piano Regioni del Sud amministrate in modo molto diverso.

Gli esempi

Il PD di fatto accetta una tesi balorda; la autonomia differenziata, che ha il suo cardine sulla responsabilità degli amministratori, impoverisce il Sud. Ma forse non si sono accorti che ci sono già le regioni a autonomia differenziata. Abbiamo 25mila forestali in Sicilia, per 3.400 kmq di foreste e quei poveretti dei canadesi hanno solo 4.200 persone per 400mila kmq di foreste: ma le foreste sono diverse, ovviamente! Del resto, qualcuno ha parlato di abusivismo e di evasione fiscale “di necessità”. La sanità calabrese è al disastro: ed è tutta colpa del Nord che vuole l’autonomia? E il “turismo sanitario” quanto costa alle casse delle regioni del Sud? Forse è il caso di tornare a fare politica e fare uno sforzo per fare un’analisi delle forze sociali, culturali, imprenditoriali e politiche presenti nel Paese con una iniziativa politica appropriata al Nord e al Sud. Aggiungo due considerazioni: mettere in un solo calderone l’opposizione al premierato e all’autonomia differenziata non è cosa buona e non tiene conto delle differenze tra i sostenitori dell’uno o dell’altro provvedimento; abbiamo bisogno che le Regioni facciano uno sforzo per avere servizi di livello europeo, e che diano il loro contributo alla costruzione di una Europa unita, ostacolata dagli egoismi degli stati nazionali. Quando si è scritta la Costituzione, non c’era un processo di unità europea alla vista.

Le proposte

Oggi una forza progressista dovrebbe favorire un processo legislativo europeo su moltissime materie (incominciando dai diritti sociali e dalla tutela dei lavoratori). E perché non trasformare il “Comitato delle Regioni” di Bruxelles, un organo puramente consultivo, e quasi inesistente, nel “Senato delle Regioni Europee”, che affianchi il Parlamento Europeo, nella definizione di una Costituzione europea, che debba prevedere la elezione diretta del Presidente della Commissione europea? Le differenze salariali sono enormemente aumentate da trent’anni a questa parte, e non per colpa del jobs act: quanto è la differenza tra il compenso dell’amministratore delegato e del presidente di Stellantis e il salario dell’operaio italiano o polacco della Stellantis? E in un regime di moneta unica, possiamo avere imposizioni fiscali per le aziende e i cittadini così diverse, da paese a paese della Unione? E quali sono in Europa i tributi e le imposte da destinare alle Regioni e agli Locali? E come tuteliamo i diritti degli immigrati che lavorano in regime di schiavitù in tante parti della moderna e civile Europa? E forse per una Europa che sta nel Mediterraneo non è caso di rivedere il ruolo del trasporto marittimo di persone e cose? Se rimangono ferme a discussioni tremendamente vecchie, che creano alibi alle responsabilità politiche di ceti politici che hanno amministrato male o amministrano peggio, scaricando il dibattito in un assurdo contrasto tra nord e sud, le forze progressiste sfuggono al necessario orizzonte europeo anche della politica di casa nostra, e allontanano la soluzione di problemi che sono ormai sovranazionali.