Difficile non ascoltare De Luca. Eppure accade. Pur essendo il più efficace comunicatore politico su social e tv – e il più scatenato alla testa del corteo degli amministratori locali – Il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca è rimasto inascoltato nella fase di elaborazione della riforma dell’autonomia differenziata. Non è un bene: perché come dice al Riformista in questa intervista, è solo con la ripresa del dialogo istituzionale che possono essere trovate le misure per dare forma a questa riforma.

Presidente De Luca, sostiene che l’Autonomia mette il Sud nella condizione di necessità di dover prendere la rincorsa. Può essere vista come una sfida?

«Le sfide hanno senso se si combatte ad armi pari. Al di là della narrazione demagogica che si risente rispetto al Sud, la verità è che vi sono condizioni di sperequazione davvero insostenibili. Basti pensare che in termini di spesa pubblica pro capite il centronord è oltre i 17mila euro annui, e il Sud è a 13mila. La Campania è addirittura a 12mila euro! Noi abbiamo guidato la battaglia contro l’autonomia differenziata così come è impostata. Ma ciò detto, ribadisco con forza che siamo pronti alla sfida dell’efficienza nei confronti di chiunque. Noi non rappresentiamo il Sud della lamentela e del parassitismo, ma quello del rigore finanziario, della trasparenza, e della burocrazia zero».

Quali sono le criticità che lei vede, e sono ostacoli che si possono superare, con interventi correttivi?

«Occorre rendere chiaro a tutti che la battaglia deve essere su due fronti: contro questa autonomia differenziata; ma con altrettanta forza contro il centralismo burocratico-statalista e contro la palude burocratica. E’ insostenibile la difesa dello status quo. Occorre unire l’Italia intera con una battaglia coraggiosa di modernizzazione del paese. Le criticità della proposta governativa sono queste: è una finzione dire che si subordina tutto alla preventiva definizione dei Lep. Intanto occorre parlare non solo di definizione, ma anche di preventivo finanziamento dei Lep. In più, si è deciso che se in due anni non si conclude la partita Lep, si va avanti con la spesa storica: cioè, chi è ricco sarà più ricco, chi è povero ancora più povero».

La Sanità in Campania ha dimostrato nel momento più buio di saper rispondere all’emergenza Covid. Tra due anni potreste dimostrare di aver fatto meglio di altri…

«La sanità pubblica campana è stata all’avanguardia durante l’epidemia: noi abbiamo avuto – nell’area urbana più congestionata d’Europa – il livello più basso di decessi per Covid rispetto alla popolazione, pur avendo 20mila medici in meno rispetto alla media nazionale, e pur avendo la media più bassa d’Italia nel riparto del fondo sanitario nazionale (meno 200 milioni di euro
l’anno…). Potrei segnalare almeno una decina di prestazioni e di eccellenze nelle quali vantiamo primati nazionali».

Correzioni sono ancora possibili. Con i suoi suggerimenti – e quelli di altri governatori del Mezzogiorno – magari l’elaborazione finale si può rimettere in asse…

«Il riferimento alla sanità e alle sfide che ci si propongono con la legge sull’autonomia, essendo pronto e disponibile a ragionare senza ideologismi, mi spinge a proporre agli amici del Nord – se vogliamo essere corretti e non raccontarci frottole – una sfida concreta, con alcuni emendamenti legislativi da approvare unitariamente: divieto di stipulare contratti integrativi regionali per sanità e scuola, in aggiunta a quelli nazionali; stesse risorse pro capite dal fondo sanitario nazionale per tutte le regioni; stesso numero di medici e infermieri rispetto alla popolazione; livello predefinito del fondo dii perequazione e limite certo per l’assorbimento del residuo fiscale da parte delle Regioni per non condannare al declino regioni con scarsa capacità fiscale; programmi scolastici pubblici nazionali, zone economiche speciali.
Se abbiamo il coraggio di prendere unitariamente queste decisioni, rendendo concreta la volontà di non rompere l’unità nazionale, noi possiamo andare avanti».

I fondi di coesione e sviluppo non sono adeguati?

«I fondi di coesione sono ormai da tempo non aggiuntivi per il Sud, ma sostitutivi di fondi ordinari. In più, stiamo assistendo a processi di centralizzazione statalista sconvolgenti, e alla liquidazione delle politiche di coesione. La vicenda dell’accordo di coesione della Campania bloccato da un anno è un esempio clamoroso e scandaloso».

Bisognava prendere il Mes sanitario e ripartitore un ulteriore boost, in questa fase di avvio dell’autonomia?

«La questione del Mes è tutta e inutilmente ideologica. L’Italia ha già versato 15 miliardi di euro per questo fondo, e non siamo obbligati a utilizzarlo. I 120 miliardi presi in prestito nel Pnrr, e tutti da restituire, pesano ancora di più sul nostro bilancio».

Se si farà un referendum, come vi vedrà schierati?

«Decisamente a favore dell’abrogazione della legge se rimane quella approvata».

La Regione Campania oppone all’autonomia la Burocrazia Zero, non si tratta di una battaglia parallela e integrabile?

«La nostra richiesta di maggiori poteri è sulla linea della burocrazia zero, non della rottura nazionale. Ci siamo candidati già nel 2019 (quando discutevano da sole tre regioni con il Governo) a partecipare al tavolo nazionale per contrastare la linea del “Controrisorgimento”.

Dunque dialogo istituzionale aperto?

«Credo che sia doveroso e possibile dialogare con le forze dinamiche del Centronord. Sono convinto che agli imprenditori, ai professionisti, alle famiglie interessi poter decidere (e avere risposte) in tempi rapidi, senza affondare nella palude burocratica statale. Ai cittadini non interessa se la semplificazione, la modernizzazione dello Stato, la possibilità di creare un’impresa in tempi rapidi viene dallo Stato o dalla Regione. Nella nostra richiesta di maggiore autonomia richiediamo competenze sulle aree portuali – oggi occorrono cinque anni per fare un dragaggio! – sui piani paesaggistici, sui pareri energetici e ambientali, in materia urbanistica e di opere pubbliche, sui beni culturali non di competenza nazionale, una gestione pienamente libera del fondo sanitario. Questo è il contrario del percorso verso cui si avvia l’Italia: non rotture e sperequazioni, ma modernizzazione e solidarietà».

Un programma che dovrebbe avere vasto consenso…

«Credo sinceramente che su questa linea si possano ritrovare le forze sane e dinamiche del Sud e del Nord, al di là di ideologismi e guerre di religione, ma anche al di là di furbizie e disonestà intellettuali. Il nemico comune è la palude burocratica centralistica che soffoca l’Italia e un processo di centralizzazione statalista fuori del tempo, e foriero di inefficienze e ritardi competitivi».

⁠Il Fondo di perequazione, stabilito dalla Costituzione, può venire meno?

«Nella proposta del Governo non si chiariscono i limiti consentiti alle Regioni per il trattenimento del gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio. In queste condizioni, come si finanzia il fondo di perequazione previsto dall’articolo 119? Come si farà a “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali, a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona?” È questa una domanda che richiede non una risposta contabile, ma una risposta in termini di valori, di idealità, di sentimento di patria».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.