Intanto, un vantaggio il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata l’ha già prodotto: la metamorfosi di Vincenzo De Luca. Un vantaggio che nelle pigre cronache politiche nostrane somiglia al prodigio: non appena irrompe la dimensione strategica del presidente campano, si azzera ogni tentazione istrionico-teatrale. Il De Luca che vuole un Sud attivo ma lontano “dalle lamentele e dal parassitismo”, a Giorgia Meloni che gli si presenta sibilando il suo epiteto poco galante, risponderebbe chiedendole di fare meno scene e più equità. Visto che “in termini di spesa pubblica pro capite il centronord è oltre i 17mila euro annui, il Sud è a 13mila, la Campania addirittura a 12mila”.

Autonomia, De Luca riparte da tre

Idee concrete, insomma. Tre emendamenti per rendere meno demagogica l’autonomia differenziata: uguali risorse pro capite per la sanità, stesso numero di dipendenti nella sanità pubblica per percentuale di popolazione, divieto di contratti integrativi regionali. De Luca li dice al Riformista anche perché nessun altro glieli ha chiesti. Non fanno notizia, a quanto pare. Un ragionamento vero non ci sta nelle 280 battute di un post su “X”. Molto più facile sparare titoli sul trionfante Matteo Salvini che festeggia, scomodando la Storia, una legge-manifesto che rinvia i suoi effetti di due anni. O sulla altrettanto eccitata Elly Schlein che, all’opposto, inaugura la saga della lotta al “cinico baratto che spacca in due il Paese” (oggi notoriamente molto coeso). Finché dura l’autonomia differenziata, dureranno Elly e il suo salvifico referendum. Che potrebbe consistere nella seguente domanda: “Vuoi tu che l’Italia resti unita o che si divida in tanti staterelli preda delle dominazioni straniere?”.

La sfida solo “ad armi pari”: Lep chiave

Proprio come profetizzano gli allarmati esponenti dell’accademia e della società civile in mobilitazione “finché siamo ancora in tempo” De Luca l’autonomia vorrebbe affrontarla, gestirla, fronteggiarne i rischi e coglierne le possibilità. Perché autonomia può coincidere con responsabilità, ma solo se fatta “ad armi pari”. Non accettare la sfida significa accettare che tutto resti com’è. E lo status quo può convenire al ceto politico, ai professionisti del meridionalismo lacrimevole, ma certo non conviene alle persone. “Questa” autonomia senza eque condizioni di partenza e il centralismo statalista sono per De Luca due nemici egualmente pericolosi. Che trovano la loro sintesi nel fantasma più minaccioso: se tra 24 mesi i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) non saranno stati definiti e finanziati, si procederà in base alla spesa storica, cristallizzando quindi le disparità. Basterebbero queste osservazioni per stabilire che l’autonomia differenziata di recente approvata non minaccia l’unità nazionale ma il buon senso.

Non è una legge spacca-Italia ma uno dei tanti colabrodo che nel breve periodo servono solo a declamare alti princìpi e sventolare bandierine. I dibattiti su questa legge e sul premierato fanno da detonatore al vizio endemico della Seconda Repubblica: far credere di essere i detentori del Bene in lotta contro qualcuno. Salvatori della patria in servizio permanente. La politica delle iperboli cerca sempre due cose, argomenti iper-semplificati e un nemico contro cui animare i tifosi. Altra caratteristica, la personalizzazione esasperata di meriti e colpe, di fallimenti e soluzioni. Ed è vero che spesso Vincenzo De Luca ci sguazza, nella dimensione colorita del vicerè meridionale senza neppure un re cui render conto. Lui e il popolo, lui e la Campania, e in mezzo assolutamente nulla. Tantomeno il suo partito, “cattedrale nel deserto, pantano burocratico, monumento all’inerzia politica”.

Il De Luca incisivo

Da sempre, il Governatore costruisce la sua narrazione con tratti a tinte forti, contribuendo alla mitologia dell’Uomo solo al comando, che fa più danni della siccità. Ma nel confronto con un percorso ancora tutto da fare, emerge intanto un Mezzogiorno meno macchiettistico, un chiaroscuro di eccellenze e acuti problemi sociali, di ritardi, resilienza e creatività. Soprattutto, emerge il richiamo a “fare insieme”, che è un elogio alla politica intesa come dialogo e costruzione di sintesi, all’impegno collettivo ed anche ad una certa necessaria “lentezza”, che è quella esistenziale di Milan Kundera ma anche dei grandi statisti, che non hanno mai pensato di cambiare le regole e gli indirizzi di un paese con quattro slogan da corteo. Tra il De Luca che al Nord imputa “arroganza coloniale” e il De Luca che invece propone di “dialogare per non raccontarci frottole”, è il secondo che può incidere sul futuro.

Sergio Talamo

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