Quelli che non piangono per la Regina Elisabetta non piangono per la fine di un’era, nessuna nostalgia per la sovrana. Di quale sovrana, quale ha più rappresentato la Regina Elisabetta II, a seconda di latitudini e punti di vista? Sul trono per 70 anni della monarchia inglese, la più longeva di sempre, icona pop e di stile, anche simbolo di un’epoca in bilico tra la resistenza al nazifascismo e le sfide del nuovo secolo, sovrana stoica nella rappresentanza di una Casa Reale alle prese con scandali e gossip. Era però anche piena di contraddizioni, di decadimento, dell’implosione dell’Impero, con la perdita delle colonie e uno status messo in discussione e ormai per sempre compromesso.

Soprattutto è il passato coloniale, in tempi di cancel culture, della potenza britannica a essere stato sempre più dibattuto e rinfacciato alla monarchia negli ultimi anni. Le reazioni alla notizia della morte della Regina, che per mezza giornata ieri ha tenuto con il fiato sospeso e che oggi continua a occupare i media di tutto il mondo, hanno rivelato il complicato rapporto della monarchia con i cittadini del Commonwealth e delle ex colonie. La monarchia è stata a queste altezze anche sinonimo di oppressione, repressione, lavori forzati, sfruttamento di risorse naturali, controllo delle istituzioni locali.

“Il Commonwealth (un’associazione della Gran Bretagna e delle sue ex colonie, ndr) ha le sue origini in una concezione razzista e paternalistica del dominio britannico come forma di tutela, educatrice delle colonie alle responsabilità mature dell’autogoverno. Riconfigurato nel 1949 per accogliere le nuove repubbliche asiatiche indipendenti, il Commonwealth fu il seguito dell’impero e un veicolo per preservare l’influenza internazionale della Gran Bretagna”, si legge in un’editoriale del New York Times. Il Regno di Elisabetta ha attraversato la dissoluzione di quasi l’intero Impero britannico con la sostanziale diminuzione dell’influenza globale del regno. La Regina è stata accusata di aver contribuito a oscurare una sanguinosa storia di decolonizzazione le cui proporzioni e eredità devono ancora essere adeguatamente riconosciute. Non va solo romanticizzata, idealizzata insomma quell’era.

Il fenomeno più degno di nota negli ultimi anni è stata la tendenza tra le nazioni caraibiche a rimuovere la sovrana dalla posizione di Capo dei loro Stati e a esercitare pressioni per chiedere riparazioni per gli abusi e gli sfruttamenti dell’era coloniale. Lo scorso novembre Barbados, alla ricorrenza del 55esimo anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito, ha abbandonato la monarchia parlamentare per diventare una repubblica parlamentare. Ai primi di agosto la senatrice aborigena australiana Lidia Thorpe ha definito Elisabetta II, suo Capo di Stato, una “colonizzatrice”: milioni di aborigeni vennero sottomessi, uccisi o allontanati dalle loro terre durante il periodo coloniale.

L’indipendenza dell’Australia è arrivata nel 1901 e un referendum nel 1999 decise di mantenere la monarchia costituzionale. Elisabetta, nel suo viaggio per il Silver Jubilee nel 1977, venne colpita mentre sfilava sulla vettura scoperta in visita ufficiale da un pezzo di cartone su cui era scritto “Indipendenza all’Australia”. E proprio in un terreno oltre la Manica Elisabetta apprese dal marito, il Principe Filippo, della morte del padre Giorgio VI: si trovava in Kenya, era il febbraio 1952. All’epoca nelle lettere ufficiali si leggeva ancora “Impero Britannico”, erano oltre 70 i territori britannici oltre il mare, oggi sono quattordici. Durante il suo regno Londra ha devoluto poteri a Galles, Scozia e Nord Irlanda e non è escluso che la nuova era non possa rinvigorire le pulsioni indipendentiste della Scozia.

 

Alla monarchia, con consapevolezza sempre maggiore, negli ultimi anni sono state rammentate: le operazioni in Malaysia nel 1948 che sarebbero state emulate dagli statunitensi in Vietnam, quelle in Kenya dal 1952 con campi di concentramento e azioni militari contro la rivolta dei Mau Mau, a Cipro nel 1955 e in Yemen nel 1963. Il governo britannico ha accettato nel 2013 di pagare quasi 20 milioni di sterline di danni ai sopravvissuti delle stragi in Kenya e un altro pagamento è stato effettuato nel 2019 ai sopravvissuti a Cipro. Senza dimenticare i Troubles irlandesi, con lo zio Lord Louis Mountbatten, ultimo viceré dell’India, ucciso nel 1979, dilaniato da una bomba dell’Ira sul suo yacht. Il Foreign office ha in seguito ammesso di aver nascosto illegalmente più di un milione di documenti di epoca coloniale destinati a essere desecretati. La cosiddetta “Operazione eredità” avrebbe portato anche alla distruzione e manomissione di milione di documenti.

“Si potrebbe sostenere che la regina ha poco potere sulle decisioni e le azioni compiute in suo nome. Tuttavia, scegliendo di tacere, mentre insieme alla sua famiglia continua a godere dei frutti dell’oppressione, ha mostrato codardia morale e ha implicitamente appoggiato quelle azioni e quelle decisioni”, aveva scritto Patrick Gatara per Internazionale in occasione delle celebrazioni per il Giubileo di Platino. E commenti su questo tono si sono moltiplicati e sono diventati anche virali ieri, dopo la notizia della morte della Regina.

 

“Se qualcuno si aspetta che io esprima qualcosa di diverso dal disprezzo per il monarca che ha supervisionato un governo che ha sponsorizzato il genocidio che ha massacrato e spostato metà della mia famiglia e le cui conseguenze coloro che vivono oggi stanno ancora cercando di superare, puoi continuare a desiderare una stella”, ha scritto in un tweet diventato virale Uju Anya, professoressa associata di acquisizione della seconda lingua alla Carnegie Mellon University, figlio di madre della Trinidad e del padre della Nigeria.

“Essendo la prima generazione della mia famiglia non nata in una colonia britannica, ballerei sulle tombe di ogni membro della famiglia reale se ne avessi l’opportunità, specialmente la sua”, ha scritto in un altro post Zoé Samudzi, scrittrice americana dello Zimbabwe e assistente professore di fotografia alla Rhode Island School of Design. “Dire ai colonizzati come dovrebbero sentirsi riguardo alla salute e al benessere del loro colonizzatore è come dire alla mia gente che dovremmo adorare la Confederazione”, ha twittato Ebony Thomas, associato presso la University of Michigan School of Education. “Quando scriviamo tutti questi Tweet *in inglese.* Com’è successo, hm? Abbiamo appena scelto questa lingua?”, ha postato in tweet apprezzato più di 25.000 volte. Il lutto è stato addirittura festeggiato in maniera grottesca e piuttosto squallida da una televisione Argentina: il conduttore della trasmissione Uno più uno fa tre ha brindato, chiamato la Regina Nazi, ricordato la guerra delle Falklands, che per gli argentini restano le Malvinas.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.