La Camera dei Deputati ha approvato una legge che vieterebbe la produzione e la distribuzione della cosiddetta cannabis light, proprio il prodotto che interessa la Sua impresa e di tanti altri imprenditori italiani. Di che prodotto si tratta?

Purtroppo, per una questione strettamente commerciale, è stato dato al prodotto il nome di “cannabis light”, ma in realtà non parliamo d’altro che di fiori della canapa, ovverosia di piante che originano da sementi certificati europei e che non sviluppano di fatto una percentuale di THC rilevante per il corpo umano. I fiori di questa pianta vengono definiti “cannabis light” per il loro aspetto, in quanto la pianta risulta molto simile a quella della cannabis, ma non sviluppa appunto i princìpi attivi psicotropi.

In tal senso, quando si cerca di vietare la commercializzazione di questo prodotto si cerca in realtà di vietare un fiore, che può essere paragonato a quello della camomilla o di qualsiasi altra pianta.

A partire dalla fine del 2016 sono nate molte realtà che commercializzano tali prodotti, parliamo di una filiera agroindustriale importante. Quali sono i numeri?

La filiera agricola operante nel settore oggi vale oltre 150 milioni di euro di indotto diretto dai fiori della canapa e arriva a 500 milioni di euro per i prodotti surrogati e succedanei. Vanta poi 15.000 operatori in tutta Italia. I dati indicano, peraltro, che questo è un settore fortemente attrattivo per i giovani: l’80% degli occupati ha infatti meno di 32 anni. Si tratta di uno dei settori che ha sviluppato la maggiore occupazione giovanile, riuscendo così a far avvicinare anche i più giovani all’agricoltura italiana. E così, sebbene con il PNRR si sia parlato di “green economy” e “innovazione nell’ambito agroindustriale”, oggi si vuole invece fare la guerra a dei fiori di canapa.

Nell’ambito del dibattito politico attuale, si è parlato molto anche della figura del consumatore di cannabis light, che si vedrebbe privato della possibilità di fare uso lecito di quelle stesse sostanze che sono, invece, oggi legali. Chi è il “consumatore tipo” di questi prodotti?

La maggioranza dei consumatori non sono persone che – passatemi il termine – hanno voglia di “sballarsi”. Il nostro prodotto infatti non è psicotropo, non potrebbe determinare alcuno “sballo” e quindi non è minimamente attrattivo verso i giovani. Parliamo invece di consumatori che magari facevano già uso di cannabis in passato o che comunque vogliono smettere, nonché di persone che semplicemente vogliano avere un senso di rilassatezza, senza subire effetti psicotropi. Oltre il 70% dei consumatori di questo prodotto ha infatti più di 40 anni e si tratta di un prodotto che, per il 90%, viene acquistato presso comuni tabaccherie italiane.

Il consumatore rinuncerà a tali sostanze o vi è il rischio che il mercato si sposti altrove?

Nel caso dovesse essere vietato il prodotto, gli utenti non smetteranno di consumarlo. Ci sono 2 milioni di consumatori di cannabis light in Italia e non spariranno da un giorno all’altro, perché una norma lo ha vietato. È evidente che questi consumatori andranno nuovamente a rivolgersi al mercato nero, dove i venditori – appartenenti alle organizzazioni criminali – avranno in tasca anche diverse sostanze da proporre. Di conseguenza, si finirà per porre il consumatore davanti ad un rischio non indifferente. Peraltro, c’è una ricerca dell’università di York del 2019 che ha portato all’evidenza un dato che io ho sempre percepito svolgendo il mio lavoro: ci sono molti consumatori che messi davanti alla scelta tra il comprare illegalmente in strada la cannabis vera, ad alto contenuto psicotropo, oppure acquistare, in maniera lecita e regolare un prodotto similare, anche se non crea alterazione, sceglieranno sempre quest’ultima opzione. La ricerca ha infatti attestato che vi è una quota importante di consumatori che ha smesso di acquistare prodotti non controllati, avvicinandosi invece a quelli consentiti e non psicotropi.

A fronte del fine che si pone il Governo, ovverosia la tutela della sicurezza e della incolumità pubblica, si rischia così il passaggio all’utilizzo di sostanze illegali ed effettivamente psicotrope, scaturendo l’effetto opposto agli obiettivi prefissati?

Ritengo di sì. Vietare il prodotto significherebbe prendere l’intero indotto del settore e darlo in mano alla criminalità organizzata. Insomma, un assist incredibile per il mercato nero, che vedrebbe allargarsi il proprio bacino di consumatori, intascandosi oltre 150 milioni di euro. Peraltro, sempre sul piano delle conseguenze negative, si registrerebbe un’esponenziale perdita di posti di lavoro. Anche la Coldiretti ha, infatti, smentito il Governo su tale azione, lanciando l’allarme sul rischio di perdere oltre 15.000 posti di lavoro e paventando la possibilità di azionare una procedura di infrazione in Europa, proprio al fine di tutelare tutti gli agricoltori italiani. Anche diverse associazioni di settore (come Confagricoltura e Canapa Sativa Italia) hanno denunciato le gravi violazioni delle normative comunitarie, chiedendo all’Europa un intervento urgente.

Quale sarà la sorte di tutti quei prodotti derivati dai fiori di canapa, ma non da fumo?

Quello che verrebbe esplicitamente vietato è la produzione e trasformazione del fiore e delle infiorescenze della canapa, da cui si ricavano – oltre che i prodotti da fumo – anche creme, oli, alimenti che potranno quindi essere prodotti esclusivamente con fibre o semi della canapa, senza alcun tipo di principio attivo e senza alcun beneficio. Bisognerebbe, per assurdo, far crescere la pianta di canapa, eliminare tutti i singoli fiori (e chissà come smaltirli) tenendo solamente semi e fibre. Si tratta di una lavorazione impensabile, che avrebbe un costo totalmente antieconomico. Il tutto con ogni, evidente, conseguenza di perdita di competitività per le nostre imprese, rispetto agli altri operatori europei.

Le conseguenze del divieto potrebbero, dunque, ripercuotersi negativamente sia con riferimento al mondo del lavoro, che in termini di aumento della criminalità. Lei che ormai opera da tempo nella filiera, ha in mente una soluzione diversa per regolamentare il settore?

Conosco la politica e so della necessità dell’arte di mediazione. A mio parere, la giusta soluzione potrebbe essere quella di normare il settore al pari di quanto avviene per i prodotti alternativi al tabacco. Non si tratterebbe, quindi, né di consentire la libera vendita in qualsiasi negozio — come una certa politica richiede — né di vietare del tutto il prodotto, come altri intendono fare. D’altra parte, in Italia siamo tra i pochissimi paesi nel mondo ad avere il monopolio dei tabacchi e sostanzialmente abbiamo una tabaccheria ad ogni angolo delle città. Chi deve acquistare un prodotto alternativo al fumo, come la sigaretta elettronica, può farlo solo ed esclusivamente all’interno di negozi controllati e monitorati dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli, che è un braccio del Ministero della Finanze. Quindi se questo prodotto fosse regolamentato come un succedaneo del tabacco riusciremmo a tutelare il consumatore, a creare un gettito nuovo per lo Stato, a controllare la filiera, salvare imprese e posti di lavoro. Basti pensare che questo settore, secondo gli studi, da qui a 3 anni in Europa varrà 3 miliardi di euro e che l’Italia era destinata a diventare leader del mercato. Tuttavia, con gli interventi e le iniziative contrarie del Governo, abbiamo perso una quota di mercato in modo esponenziale. Gli investitori esteri, che si erano presentati in Italia nel 2019 per investire oltre 50 milioni di euro, si sono ritirati e hanno rinunciato. Nel mentre, negli altri paesi il mercato attrae fondi e grandi aziende, che stanno investendo centinaia di milioni di euro nelle produzioni e nelle trasformazioni agroindustriali. Noi, invece, siamo qui a fare la guerra al fiore di canapa.

Laura Finiti

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