Le motivazioni della sentenza
Caso Bassolino: “I pagamenti erano leciti”, ma i Pm lo hanno straziato per venti anni
Stando alle motivazioni depositate dalla seconda sezione della Corte di Appello del Tribunale di Napoli, il nodo della questione, come sostenuto anche dagli avvocati Giuseppe Fusco e Massimo Krogh, difensori di Bassolino, sta tutto nella «erronea applicazione della norma prescrittiva» e nel fatto che «il giudice di prima istanza fondava la responsabilità dell’imputato sulla circostanza che era stato il predetto a firmare i decreti di liquidazione nei confronti del Soprano». Al cuore del processo c’erano infatti due decreti di pagamento, risalenti a giugno e a settembre 2001 e del valore ciascuno di 121.176.000 di lire, relativi alla liquidazione all’avvocato Soprano di competenze professionali per le attività di consulenza svolta a favore del commissario per l’emergenza rifiuti: parcelle che, secondo l’accusa, non rispettavano i minimi tariffari in applicazione della convenzione originariamente sottoscritta dalle parti, cioè da Soprano e dall’allora commissario straordinario e già presidente della giunta regionale Losco.
Bassolino ha sempre respinto le accuse tanto da non accettare la sentenza di prescrizione firmata nel settembre 2016 dai giudici di primo grado e decidere di impugnarla per ottenere in appello una pronuncia che entrasse nel merito della vicenda e delle contestazioni mosse dalla Procura. Di qui il processo dinanzi alla seconda sezione della Corte d’Appello di Napoli e la sentenza di assoluzione «perché il fatto non sussiste» emessa tre mesi fa. Nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni e Bassolino ha commentato la notizia sulla sua pagina Facebook diventata ormai un diario quotidiano, scritto «passo dopo passo» come lo slogan che lo ha accompagnato in tutte le sfide politiche: «La notizia ha suscitato in me, come per le altre 18 volte, sentimenti diversi: da una parte comprensibile soddisfazione per me, per i miei familiari e per Napoli e dall’altra di dispiacere e dolore per una lunga solitudine politica quando invece sarebbe bastato esprimere fiducia nella giustizia e in Antonio Bassolino».
Leggendo le conclusioni dei giudici che hanno firmato l’assoluzione si ha la sensazione di accuse poggiate su basi fragilissime e ricostruzioni non esatte. Bassolino sottoscrisse gli ordinativi di pagamento solo a seguito di istruttoria svolta conformemente ai regolamenti del Commissariato delle strutture competenti, quindi un’istruttoria espletata, controllata e avallata da altri. Il reato di falso ideologico che era stato inizialmente ipotizzato accanto alla vicenda delle parcelle era stato escluso, tanto che la Cassazione aveva confermato l’assoluzione di Bassolino contro le impugnazioni del pm, e – seguendo il ragionamento dei giudici di appello – non sussisteva nemmeno l’accusa di peculato. Dopo aver evidenziato che in dibattimento non sono emersi riscontri alle ipotesi accusatorie, i giudici di secondo grado sono infatti giunti alla conclusione che «soprattutto ciò che rileva è la piena assoluzione, per insussistenza del fatto, del Bassolino dal contestato reato di falso in atto pubblico in relazione proprio ai provvedimenti di disposizione di pagamento di cui è causa per l’odierna accusa di peculato».
A ciò si aggiunga che nel settembre 2018 la Cassazione aveva assolto Soprano «per non aver commesso il fatto» per lo stesso reato per cui Bassolino era imputato e per cui era stata dichiarata, a settembre 2016, la prescrizione. Quindi, «il venir meno – si legge nelle motivazioni – del reato di falso presupposto, unitamente alla mancanza assoluta della prova dell’appropriazione del denaro da parte dei Bassolino e della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo allo stesso impongono l’assoluzione perché il fatto non sussiste». Ora il capitolo è davvero chiuso.
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