Antonio Bassolino è stato assolto per la diciannovesima volta. È innocente. Non ha mai commesso alcun reato. È solo stato sospettato – per ragioni da scoprire – di avere commesso dei reati per diciannove volte. Da chi? Da alcuni Pm. Tra qualche riga ne parliamo. I giornali stavolta hanno riferito di questa ennesima assoluzione. In modo sobrio, non certo col clamore che suscitarono le varie incriminazioni. Però almeno ne hanno parlato. Caso chiuso? No, il caso-Bassolino è uno scandalo di dimensioni colossali che investe la magistratura, la politica, i partiti. Cioè la spina dorsale del nostro sistema democratico. Se non si affronta il caso-Bassolino la qualità della nostra democrazia perde molto valore.

Ci sono due grandi questioni. Affrontiamole separatamente. La prima riguarda la magistratura ed è molto semplice: qualunque sia la logica che vogliamo usare, siamo di fronte a 19 errori giudiziari, tutti in fila e tutti a danno della stessa persona. Questa persona è l’esponente più importante della politica in Campania degli ultimi 30 anni almeno, ed è stato un protagonista di primissimo piano della politica nazionale. Come è possibile che vari Pm della Procura di Napoli commettano un numero così grande di errori professionali? Vi immaginate cosa capiterebbe al Cardarelli se un certo numero di medici sbagliassero diagnosi e cure per diciannove volte consecutive, nel giro di circa 20 anni, sullo stesso paziente? E cosa succederebbe se addirittura questo paziente fosse famoso, o se fosse l’ex sindaco e l’ex governatore? Non oso immaginare la fine di quei poveretti, i processi, la gogna, il seppellimento delle loro persone e delle loro carriere.

Con Bassolino è successo qualcosa del genere. Lui, molto signorilmente, dopo la diciannovesima assoluzione ha dichiarato di non considerarsi un perseguitato e ha brindato perché alla fine la verità ha vinto. Però, a rigor di logica, qui i casi sono due: o c’è stata una persecuzione, o il livello professionale di un buon numero di Pm napoletani è assolutamente al di sotto del minimo necessario. È impossibile trovare una terza via. Il primo caso configurerebbe una situazione veramente gravissima. E anche se Bassolino lo esclude, è possibilissimo che la persecuzione ci sia stata. Già molti ministri della giustizia avrebbero dovuto intervenire per questa ragione sulla Procura di Napoli, e non lo hanno fatto. Ora tocca a Bonafede. Non può restare il sospetto che ci sia stata una congiura. Anche perché, se così fosse, si dovrebbe scoprire chi ha guidato la congiura, chi l’ha coperta, chi l’ha favorita.

Oppure è solo incapacità professionale. Anche in questa ipotesi dovrebbe intervenire il ministero, e poi dovrebbe intervenire il Csm. Per evitare che dei magistrati pasticcioni e privi delle doti sufficienti continuino a fare guai. L’esperienza del passato è triste. I Pm che perseguitarono Enzo Tortora, un po’ per ideologia un po’ per incapacità, non furono fermati: uno finì Procuratore, un altro addirittura al Csm. Al Csm, sì: fu mandato lui a guidare la magistratura. Fu uno scandalo mostruoso, avvenuto nel silenzio assoluto di politica e giornali e Tv. Ripetiamo quella vergogna?

La seconda questione riguarda la politica. Bassolino fu abbandonato. Dal suo partito, dai suoi amici e dai suoi avversari, quasi tutti. Bassolino era un cavallo di razza del Pci e poi dei Ds. Aveva avuto dei successi straordinari a Napoli ed era pronto a spiccare il volo in campo nazionale. Probabilmente, tra i cinquantenni di quegli anni, Bassolino era quello più forte, con più preparazione, più popolarità, più carisma. Era certamente più robusto di Veltroni ed era più popolare e meno scostante di D’Alema. Aveva grandi doti e forti idee. Era uno dei pochi, a sinistra, che non permetteva mai che l’utopia schiacciasse la realtà e non permetteva che la realtà schiacciasse l’utopia. Conosceva la società moderna e i limiti grandiosi del liberismo. Aveva dei principi, dei valori, una forte conoscenza della politica e del popolo.

Non oscillava a qualsiasi vento, o alla Tv, o a carosello. Non era succube dei sondaggi. Era molto di sinistra, allievo di Ingrao, di Trentin, di Luporini, ma era capace di compromessi, di arretramenti, di politica-politica. Era un liberale. Non viveva – come molti dirigenti della sinistra di quell’epoca – nell’ossessione di Berlusconi. Immaginava una “sinistra-per” non la sinistra come elemento residuale e complementare del berlusconismo. Aveva buone possibilità a diventare l’uomo guida della sinistra e del suo partito. E se non lo ha potuto fare è stato per via della sua inaudita vicenda giudiziaria. I Pm napoletani hanno deviato il corso della sinistra italiana, in un momento molto delicato, mentre si stava sviluppando una crisi e una battaglia sulla strategia futura. Si discuteva di liberismo, di blairismo, di mitterandismo, di globalizzazione.

Si provava a costruire la sinistra del dopo-comunismo. Se il Pd fosse nato sotto la guida di Bassolino sarebbe stato un partito diverso da quello nato sotto la guida di Veltroni e Franceschini. Migliore o peggiore? Questo non ha importanza, quel che conta è che la scelta non la fece la politica ma i Pm. (Io, personalmente, credo che sarebbe stata una sinistra molto più moderna, indipendente e forte). E la politica come si è mossa di fronte all’assalto della magistratura? Ha fatto quello che ha sempre fatto, di fronte alle persecuzioni giudiziarie. Si è girata dall’altra parte, e anzi ha usato le inchieste per risolvere conti interni. Ciascuna corrente ha festeggiato, ci ha guadagnato qualcosa. Bassolino è stato spazzato via. Qualcuno gli ha lanciato un salvagente? A me non risulta.

Ecco, finché proseguirà questa usanza, e questa complicità di infimo livello, tra politica e la parte più scarsa, o più illegale, o più corrotta, della magistratura, la possibilità di riformare l’Italia e di portare a compimento la Costituzione non esiste neppure sulla carta. La sottomissione “a pagamento” della politica alla peggior magistratura è il cancro della nostra vita pubblica. Vogliamo archiviare il caso Bassolino come un incidente di percorso? Allora archiviamo anche lo Stato di diritto. Dico meglio: la democrazia politica.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.