Doveva diventare ministro. “Non si creò lo spazio” si disse allora. Doveva essere la candidata della destra alla guida della Regione Lazio, poi Meloni blindò l’accordo sull’ex presidente della Croce Rossa Francesco Rocca. Alla fine è diventata la Presidente della Commissione antimafia. Si chiama Chiara Colosimo, ha 38 anni e ne dimostra anche meno, nel suo bouquet c’è una famiglia da sempre a destra, la militanza in Azione studentesca, i giovani di An, l’elezione in consiglio comunale nella giunta Alemanno, in consiglio regionale nella giunta Polverini, l’elezione in Parlamento alla Camera, tanta “generazione Atreju” e l’amicizia diretta e personale con la premier Meloni.

E’ stata eletta ieri dopo un battage di settimane in cui qualche Fratello e molti leghisti non vedevano di buon occhio un incarico così delicato e prestigioso affidato “all’ennesima fiammella della Fiamma magica meloniana”. Metà Commissione, Pd, Avs e 5 Stelle, non ha partecipato al voto per protesta. Poi però sono rientrati e si sono presi i 5 Stelle la vicepresidenza con Cafiero De Raho, l’ex procuratore antimafia e il Pd la segreteria con Anthony Barbagallo. Iv e Azione, l’unica forza parlamentare a restare senza incarichi nella presidenza della Commissione, denunciano l’ennesimo inciucio 5 Stelle-Pd-Meloni. Ma di questo parliamo tra qualche riga.

In questa lunga attesa durata sette mesi – ritardo record – quando il toto nomi si è stretto su Chiara Colosimo, è saltata fuori qualche fotografia da spiegare, ad esempio quella in cui si vede Colosimo sorridente al tavolo con l’ex Nar Luigi Ciavardini, terrorista neofascista dei Nar, condannato per omicidio e strage con Fioravanti e Mabro per la strage di Bologna. “L’ho incontrato – ha spiegato la neo presidente appena eletta – nell’ambito del mio ruolo istituzionale (consigliera regionale) e del suo incarico alla guida di un’associazione che si occupa, come da articolo 27 della Costituzione, del reinserimento dei detenuti nel momento in cui hanno scontato le pene. Non è un’amicizia. Lo conosco io come moltissimi di diversa appartenenza politica conoscono altri presunti terroristi”. Prendiamo per buona la spiegazione. Tranne che sul “presunto”: Ciavardini è un terrorista di destra. E sulla strage di Bologna, così come sull’omicidio di Piersanti Mattarella, i magistrati non hanno ancora concluso il loro lavoro.

Senza dubbio la nomina di Colosimo è divisiva. E di parte. Sicuramente non lo sarebbero stati altri candidati e candidate, dall’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho e all’ex procuratore Scarpinato (entrambi dei 5 Stelle). Per restare nelle fila della destra, la stessa Rita Dalla Chiesa (Forza Italia), figlia del generale Carlo Alberto, ucciso da Cosa Nostra, avrebbe saputo unire e dare un senso più alto all’incarico. Una foto è una foto e vale per quello che vale. Però non ci si può stupire se Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione che riunisce i parenti degli 85 morti e 200 feriti causati dalla bomba alla stazione di Bologna, oggi dica: “Guai se Colosimo si presenta a Bologna il 2 agosto per le commemorazioni della strage”. Più cauto, dopo le critiche durissime dei giorni scorsi, Paolo Borsellino: “Valuteremo in base ai fatti”.

La Commissione Antimafia è il luogo della memoria e della battaglia, è stata guidata in passato da esperti come Luciano Violante e Gerardo Chiaromonte ed ex ministri dell’Interno come Beppe Pisanu, ha aperto archivi e scoperto i percorsi di una trattativa Stato-Mafia che se non ha mai raggiunto lo status di prova a livello processuale è però documentata da contatti e depistaggi tra Cosa Nostra e le istituzioni, su più livelli. “Sono molto emozionata e sento la responsabilità di questo incarico” ha detto la neopresidentessa convinta che “la sfida della lotta alla mafia debba essere tramandata alle nuove generazioni”. Giusto. La carne al fuoco è tanta. Presidente, ha già in mente da quali audizioni cominciare? “Beh, no, però un attimo, primo deve leggere il regolamento, poi devono indicare i capigruppo per l’ufficio di presidenza”.

Giorgia Meloni ha deciso da tempo che doveva essere lei, Colosimo, alla guida della Commissione. Alla faccia delle competenze e dell’esperienza. La neo presidente era iscritta a Scienze politiche alla Luiss ma non ha terminato gli studi, optando per il lavoro come addetta alle relazioni esterne e consulente del gruppo Fratelli d’Italia alla Camera. Gode della massima stima della premier che le ha anche confezionato su misura una data simbolo: essere eletta nel giorno del 31 esimo anniversario della strage di Capaci. Scontata la dedica. “Rivolgo il primo pensiero a Giovanni Falcone, nell’anniversario della strage di Capaci in cui perse la vita con la moglie e gli uomini della scorta, un pensiero che è testimonianza del futuro e saldo impegno di questa Commissione”.

In attesa che prenda confidenza con il regolamento, indichiamo alla neo Presidente qualche spunto sulle cose da fare: i misteri dell’arresto di Matteo Messina Denaro a cominciare dalle previsioni poi rivelatesi fondate dell’ex prestanome Baiardo; i depistaggi su via d’Amelio dove morirono Borsellino e la scorta neppure sessanta giorni dopo Capaci; il rischio infiltrazione delle mafie sugli appalti del Pnrr; il codice degli appalti.

Fin qui le cose di mafia. Poi c’è la politica e gli accordi trasversali con cui si è arrivati alla nomina dell’ufficio di presidenza. Quando è stata votata la presidente, 5 Stelle, Pd e Sinistra e Verdi hanno lasciato l’aula. Italia Viva e Azione sono invece rimasti per votare Musolino (Autonomie). Poi le opposizioni sono rientrati e magicamente sono stati eletti Cafiero De Raho (M5S) alla vicepresidenza e Barbagallo (Pd) alla segreteria. “Pd e M5s hanno fatto un inciucio – denuncia Raffaella Paita, capogruppo Iv-Azione al Senato – Nulla da eccepire su Cafiero de Raho, ma non si può gridare allo scandalo e poi fare gli accordi sottobanco”. Verini (Pd) smentisce. Paita completa il ragionamento: “Che sia un inciucio lo dicono i fatti. Le forze di opposizione, Pd e M5s, hanno deciso di uscire dall’aula anziché fare una battaglia a viso aperto. Poi, guarda caso, rientrano quando c’è da votare i loro come vicepresidenti”. I fatti dicono che il Terzo Polo è stato ancora una volta tagliato fuori dagli uffici di presidenza (era già successo alla Camera e al Senato). E che Giuseppe Conte ieri a metà pomeriggio gustava un aperitivo con i suoi alla buvette della Camera.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.