Dunque, anche l’inchiesta su Open era una colossale montatura. Com’è noto, alcuni magistrati volevano mandare a processo Matteo Renzi e altri (Alberto Bianchi, Maria Elena Boschi, Marco Carrai, Luca Lotti), accusati di gestire come un’“articolazione di partito” la Fondazione Open, nata per organizzare la Leopolda e altri eventi, e aggirare così le norme sul finanziamento della politica. Ieri il GUP di Firenze ha smontato l’intero impianto processuale e ha prosciolto tutti gli imputati. E questo è accaduto dopo che solo pochi mesi fa era stato archiviato il caso Consip, con l’assoluzione degli imputati (Alfredo Romeo, editore del Riformista, Tiziano Renzi, papà di Matteo, Luca Lotti, Italo Bocchino e altri) e la condanna degli investigatori.

Facciamo pure uno sforzo per saltare a piè pari essenziali questioni etiche e di principio che non andrebbero sottaciute in un paese civile (chi pagherà per questi scempi giudiziari? Per caso i magistrati – sempre gli stessi – che hanno perseguitato Renzi e i suoi? La risposta è no, purtroppo). E andiamo ad un problema ben più sostanziale.
Le inchieste Open e Consip – questo il dato di fatto – hanno profondamente destabilizzato il sistema democratico italiano, attraverso una campagna continuativa e incessante di character assassination senza precedenti nei confronti di un singolo uomo politico. L’operazione congiunta di procure, media e avversari politici ha senza dubbio contribuito al ridimensionamento strutturale di un leader che aveva toccato grandi vette di popolarità, governando per anni l’Italia (bene, a mio avviso), anche commettendo errori (chi non ne fa?), ma sempre mantenendo un profilo di spessore, per quanto segnato da un eccesso di presunzione di sé.

Ora, archiviata l’offensiva giudiziaria nei suoi confronti, il problema non è risarcire Matteo Renzi: a questo penseranno – oppure no, non lo sappiamo – i suoi avvocati. E neppure immaginare scuse da parte di giornali e politici che hanno lucrato in maniera indecente sulla sua persecuzione: questo è un tema che appartiene solo alla coscienza dei singoli, che sappiamo non brillare particolarmente nell’Italietta che conosciamo.

Piuttosto il problema è capire sul serio quanto la nostra democrazia può reggere di fronte agli azzoppamenti periodici e reiterati di classi dirigenti, che si ripetono dai primi anni ‘90 dello scorso secolo. È da allora – guarda caso – che l’Italia ha cominciato a non crescere più, ha perso posizioni su posizioni nel mondo, è diventata più piccola e povera. Perché un paese continuamente sfregiato da inchieste molto spesso farlocche si fa sempre più insicuro e fragile, perde fiducia in sé stesso, non guarda più al futuro con speranza. È questa la micidiale condanna che resta, oltre le sentenze, le archiviazioni e i proscioglimenti. E pesa su tutti noi, al di là di Matteo Renzi. Cui va intanto tutta la nostra solidarietà.