Assolti gli imputati, condannati gli investigatori
Caso Consip, sette anni dopo le motivazioni di un fallimento
Sono 574 pagine di motivazioni che andrebbero affisse nelle redazioni di quei quotidiani che per sette anni hanno cavalcato una inchiesta surreale dove alla fine chi era imputato è stato assolto e chi era investigatore è stato condannato. L’inchiesta è quella relativa ad uno dei filoni del caso Consip. Coinvolti oltre all’editore del Riformista Alfredo Romeo, Tiziano Renzi, papà dell’allora premier, Luca Lotti, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Italo Bocchino, ex parlamentare, Emanuele Saltalamacchia, ex comandante dei carabinieri della Toscana, Filippo Vannoni, ex presidente di Publiacqua a Firenze, il manager Stefano Pandimiglio e l’imprenditore Carlo Russo.
Consip, il ruolo di Scafarto, il carabiniere che passava informative
Dopo le assoluzioni in primo grado del marzo scorso, l’11 novembre sono state depositate le motivazioni della sentenza dei giudici dell’ottava sezione penale del tribunale di Roma. Motivazioni che demoliscono l’inchiesta e il modus operandi dell’investigatore condannato, l’ex carabiniere Giampaolo Scafarto, fedelissimo del pm napoletano Henry John Woodcock, responsabile di rivelazione di segreto perché, così come accertato dai giudici, ha passato a giornali come Fatto Quotidiano e La Verità intere informative poi pubblicate.
Azioni che “blindano la prova di colpevolezza” di Scafarto. Motivazioni che spiegano anche il ruolo di Russo, perno centrale dell’inchiesta, qualificato come “millantato credito ovvero truffa”. Russo che per i giudici “si era già speso con il Marrone (ad Consip, ndr) per una società concorrente” e non dunque la Romeo Gestioni. Romeo in questa inchiesta venne addirittura arrestato il primo marzo del 2017 e dopo tre mesi di carcere a Regina Coeli e due di domiciliari, la Cassazione intervenne annullando tutto e riabilitando le sue imprese.
Consip, totale fallimento indagine
Dopo sette anni i giudici sottolineano “il totale fallimento di un’indagine che aveva comportato sino ad allora elevatissimo impegno e dispendio sia per i magistrati sia per gli operanti, mantenuta in violazione dei più elementari e basilari doveri di lealtà, fedeltà e rispetto delle competenze e degli obblighi di segretezza che gravano su un ufficiale di polizia giudiziaria”.
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