Il 12 giugno scorso
Competitività e innovazione: i limiti europei di una crescita senza ricerca
Dalla conferenza Bei-Banca d’Italia emerge una visione orientata allo sviluppo e all’imprenditoria Ma senza investire nella sperimentazione, l’Europa rischia di restare esposta alla fragilità sistemica

Il 12 giugno si è tenuta a Roma, su iniziativa della Bei (Banca Europea per gli Investimenti) congiuntamente con la Banca d’Italia, la conferenza “Competitività e innovazione: la risposta europea” atta a stimolare un confronto multilivello sulle strategie comunitarie per la riattivazione della crescita potenziale, il rafforzamento della produttività e il consolidamento delle filiere europee ad alta intensità tecnologica.
Il meeting, inserito in un contesto di crescente pressione competitiva a livello globale, ha rappresentato un raccordo di riflessioni sulle leve finanziarie e industriali che l’Europa può e dovrebbe attivare per fronteggiare il rallentamento strutturale degli investimenti, il disallineamento tecnologico e la frammentazione del mercato interno. Alla conferenza, aperta dal Governatore di Bankitalia Fabio Panetta, è intervenuto anche il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, e il Vice Presidente della BEI Gelsomina Vigliotti. L’iniziativa, posta come cerniera tra visione industriale e strumenti finanziari pubblici, è stata centrale nel tentativo di stimolare l’ecosistema innovativo nazionale. Panetta ha posto l’accento sulle determinanti strutturali dell’innovazione economica, rilevando il ruolo cruciale che il settore pubblico è chiamato a svolgere.
È emerso quanto la spesa pubblica europea, destinata alla ricerca e allo sviluppo, malgrado si attesti comparabilmente a quella statunitense, risulti tuttavia meno incisiva in termini di risultati. Da qui l’esortazione a rafforzare non solo l’entità, ma soprattutto l’efficacia, attraverso una mirata e più coerente allocazione delle risorse. Il Governatore ha inoltre ammonito sul fatto che l’intervento statale, per quanto necessario, non possa rappresentare l’unico volano della trasformazione economica. È urgente, dunque, il completamento dell’architettura di un mercato dei capitali europeo pienamente integrato, tale da poter convogliare i risparmi privati verso iniziative imprenditoriali ad alto contenuto innovativo. Solo in tal senso, forti di una strategia articolata che rilanci con decisione l’innovazione, sarà possibile imprimere nuovo slancio alla produttività, sostenere una crescita duratura e consolidare il ruolo dell’Europa centralizzandolo sulla scena globale. Giorgetti ha invece rimarcato il ruolo dell’innovazione quale “motore propulsivo dell’autonomia strategica, della competitività sistemica e di una crescita economica sostenibile e resiliente”.
In questo quadro, ha salutato con favore l’avvio da parte dell’UE di una nuova stagione di programmazione strutturata, culminata nella definizione di un framework pluriennale per la competitività e l’innovazione, prima con il “Rapporto sul futuro della competitività europea”, avviato e al cui vertice rintracciamo ancora una volta Mario Draghi; poi con l’elaborazione della “Bussola per la competitività”. A conclusione, è stato così lanciato il TechEU dal Vice Presidente della BEI Vigliotti, un programma di intervento volto a mobilitare risorse per 250 miliardi di euro per il prossimo triennio, destinate al sostegno di imprese innovative. Ed è qui che si insinuerebbe – a rigor di logica – una quasi spontanea riflessione. Sappiamo bene che, senza un investimento strutturale e intenzionale nella formazione, nella valorizzazione e mobilitazione delle competenze individuali e collettive, ogni ipotesi di crescita diventerebbe vulnerabile a fallimenti sistemici. Pertanto, costruire processi intorno alle persone non è un elemento accessorio, bensì una condizione abilitante per generare impatti trasformativi su scala economica e sociale. In quest’ottica, però, è necessario chiarire una distinzione: quella tra invenzione e innovazione. L’invenzione rappresenta il risultato di un’attività di ricerca fondamentale, generalmente condotta da nuclei ristretti di soggetti qualificati e sostenuta in larga misura da finanziamenti pubblici.
La natura dell’invenzione implica tuttavia una discontinuità epistemica: essa esplora ambiti di conoscenza non ancora mappati, ponendosi come frontiera del sapere. Diversamente, l’innovazione consiste nella combinazione sinergica di invenzioni e conoscenze pregresse, finalizzata alla loro traduzione in output economicamente rilevanti: modelli di business, soluzioni di mercato, prodotti e servizi. In detta prospettiva, l’innovazione ha una natura relazionale e diffusa: è un processo sociale che mobilita reti di attori, quali imprese, università, istituzioni, consumatori, generando valore attraverso l’adattamento, il redesign e la contestualizzazione di conoscenze esistenti. L’Italia, storicamente, ha manifestato una vocazione strutturale all’innovazione di secondo livello: pur non disponendo di un’infrastruttura robusta per la ricerca avanzata e la produzione di invenzioni radicali, eccelle nella capacità di un remix culturale, tecnologico e industriale. Questa “intelligenza combinatoria” del sistema economico italiano si traduce in una propensione ad adattare e riconfigurare invenzioni esterne, per generare soluzioni ad alto valore aggiunto.
In sintesi, la competitività dell’Italia nel contesto globale non risiede tanto nella frontiera della scienza pura, quanto nella sua “costretta” abilità sistemica di trasformare conoscenza disponibile in innovazione applicata, attraverso una partecipazione estesa del tessuto imprenditoriale, territoriale e sociale.Ma se invece di ostinarci ad abbinare la competitività all’innovazione si iniziasse a guardare e a puntare sulla ricerca? Se si investisse di più, e con più fiducia e determinazione, in questo senso? Se ci si ponesse, rispetto all’area scientifica, sanitaria, biotecnologica o anche aerospaziale, con una diversa postura più incline alla sperimentazione che non a un rimescolamento del già esistente potremmo, forse, fare effettivamente la differenza tanto sul piano europeo quanto su quello internazionale.
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