McCarthy… McCarthy, questo nome non mi è nuovo. Ah, ecco, sì: fu quando la Presidente della Rai Letizia Moratti negli anni Novanta mi disse di volermi indicare come nuovo direttore del Tg3. “Ma devi farti dare il placet da D’Alema” aggiunse il suo direttore generale, Gran Vizir dei Protocolli segreti. E allora: pronto, signor segretario D’Alema, mi dicono che per poter diventare direttore del Tg3 servizio pubblico in quota ex Pci avrei bisogno del suo placet. E allora? Placet? “No, rispose il segretario: non mi placet perché una tua nomina a direttore del Tg3 sarebbe vissuta da quella redazione come un episodio di maccartismo”. Annotare la parola: maccartismo. Annotare anche: cancellata la mia nomina per maccartismo. Ricoverare nella cartella “memoria”.

Salutai e ringraziai senza chiedere perché un editorialista e inviato della Stampa e prima di Repubblica dovesse essere considerato un maccartista. Forse il senso del ridicolo. Poiché resi pubblica questa brevissima conversazione, D’Alema mi applicò sul muso un nuovo cono d’ombra e fece da allora finta di non vedermi salvo quando fui costretto ad “audirlo” nella mia qualità di Presidente di una Commissione bicamerale d’Inchiesta sugli agenti dei sovietici in Italia (sia russi che italiani) durante il periodo storico della Guerra Fredda che va dal celebre discorso di Winston Churchill nell’università di Fulton in Usa nel marzo 1946“America e Regno Unito devono agire come guardiani della pace e della stabilità contro la minaccia comunista sovietica che ha fatto scendere un sipario di ferro dal Baltico a Trieste sull’Adriatico…”– fino alla caduta pilotata dell’impero sovietico, ora in fase di sanguinosa restaurazione.

La fine che fu inflitta mediaticamente ad una Commissione del Parlamento repubblicano che esprimeva tutti i partiti presenti nel Parlamento della Repubblica con ogni mezzo, ogni inganno, ogni uso canagliesco della disinformazione fino all’assassinio di alcuni collaboratori della mia Commissione, dal celebre e povero mio collaboratore Sasha Litvinenko (per il cui omicidio testimoniai davanti a Scotland Yard e al procuratore della Regina Sir Robert Owen) al generale Trofimov, è una delle pagine più oscure e luride della storia della nostra Repubblica su cui è ora di riaccendere le luci e riportare a galla la realtà se non tutta la verità, ormai avariata. Ma non perdiamo troppo il filo e torniamo a Joseph Raymond McCarthy, classe 1908, Senatore repubblicano del Winsconsin, creatore e animatore della famosa caccia alle streghe sospette di simpatie comuniste e dunque filosovietiche specialmente a Hollywood, celebrata nel celebre lavoro teatrale The Crucible, il Crogiolo, di Arthur Miller, ex marito di Marylin Monroe la quale finì la sua vita assassinata da una potente supposta ai barbiturici somministrata passando da un letto all’altro non soltanto dei dioscuri Robert e John Fitzgerald Kennedy, entrambi assassinati il primo come Ministro della Giustizia di suo fratello John, Presidente, eletti entrambi grazie a un accordo che il loro padre, il magnate irlandese Patrik Joseph Kennedy (ambasciatore americano a Londra, noto filotedesco e fornitore di whisky in valigia diplomatica durante il proibizionismo) fece con il sindacalista gangster Giancana che chiese di vedere bruciato il suo dossier degno di quello del Makie Messer, alias Make The Knife dell’Opera da Tre Soldi di Brecht.

In genere quando si parla di MacCarthy, si parla soltanto del ridicolo, grottesco senatore anticomunista che vedeva dappertutto agenti sovietici e che massacrò migliaia di artisti gettando il mondo della cultura americana in un vortice di angoscia e persecuzione. Il che è quasi tutto vero, tanto che – essendo gli Stati Uniti d’America il Paese con la più potente provvista di anticorpi costituzionali – lo stesso senatore si scavò da solo la fossa davanti a una stampa libera e scatenata, che sopravviveva benissimo in un clima che era da pre-guerra. McCarthy fu un crociato ossessivo dell’anticomunismo sicché il suo ricordo è sopravvissuto come quanto di più odioso, meschino e patologico l’America abbia prodotto e poi arrossendo distrutto. Oggi, proprio oggi mentre voi leggerete, è impossibile distribuire giudizi a un tanto al chilo, il Presidente russo part time in alternanza con Putin, Medvedev ha detto pubblicamente di odiarci, di odiare proprio noi occidentali come cultura e come genere, come se avesse detto odio l’Islam, o odio gli ebrei e si è detto in guerra con noi occidentali.

Scusate, non voglio coinvolgervi: sono in guerra con quelli che odiano chi è come me orgoglioso figlio dell’Occidente da cui derivano i diritti dell’uomo e della donna, registrati come diritti dell’intera umanità. E so che l’Italia era ed è ancora piena non di povere spie da quattro soldi che contrabbandano la foto del sottomarino o seducono la cameriera del console, ma agenti di tutt’altro genere: gli quelli detti “d’influenza” che agiscono per conto e per interesse russo nel mondo dell’economia, delle università, del personale di governo, nei media e lo hanno sempre fatto. Sempre. Torniamo a MacCharty. Pochi sanno, anche se basta sapere leggere, che il piccolo ma potentissimo Partito Comunista degli Stati Uniti aveva dal 1939 reclutato la quasi totalità degli intellettuali americani per convocarli ad una continua pressione a favore della pace, ovvero della fine della guerra contro la Germania nazista seguendo le direttive di Mosca fin dal primo settembre del 1939, quando Stalin garantì ad Hitler spalle coperte per invadere la Polonia.

Il Pcus organizzò tutte le manifestazioni e scioperi contro la guerra (ad Hitler) e fece promuovere ogni sciopero possibile per allentare e sabotare i convogli che dal porto di New York partivano al soccorso della Gran Bretagna assediata dai nazisti, convogli che venivano silurati dagli U-Boot tedeschi che andavano a fare il pieno di petrolio russo nel Mar Nero prima di prendere la rotta atlantica. Tutta l’intellighenzia americana si lasciò travolgere da un’ondata di perentorio richiamo alle armi del pacifismo, cioè ad opporsi alla guerra contro i tedeschi, chiedendo anzi la pace immediata con il Terzo Reich. Di fatto l’America non dichiarò mai guerra alla Germania, nemmeno dopo averla dichiarata al Giappone dopo l’attacco proditorio alla flotta americana alla fonda alle Hawaii. Fu Hitler, beffardamente. a dire tanto vale che la dichiari io perché gli americani sperano di cavarsela spedendo convogli agli inglesi.

Capovolti i fronti a causa del voltafaccia anti- Urss dell’alleato Hitler, anche il Pcus si scatenò per la politica guerrafondaia con l’elmetto a protezione della casa madre sovietica e non il senatore McCarthy, ma tutta l’opinione pubblica americana, specialmente quella democratica – ieri come oggi – vedeva ovunque agenti d’influenza dei russi. Da notare che mentre in America accadevano questi eventi angosciosi che distrussero ingiustamente una quantità di ingegni e personalità, simmetricamente dall’allora parte dell’oceano al di là dell’Europa la controparte russa non si limitava a far perdere il lavoro ai rarissimi filoccidentali, ma sterminava con un colpo alla nuca un numero mai definitivamente calcolato di persone, ma non inferiore agli ottocentomila. Si sa solo dai registri autografi che Josef Stalin in persona dedicava le serene e digestive ore del dopocena a compilare gli elenchi di coloro che faceva mettere a morte il mattino dopo, prelevati dagli agenti che li conducevano al famoso montacarichi della Lubianka da cui scendevano legati e bendati per essere messi in ginocchio davanti a una tavola di quercia che assorbiva il colpo alla nuca quando usciva dalla fronte.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.