Nel mondo anglosassone (prima nel Regno Unito, poi negli Usa, speriamo che sia risparmiato il Canada) è iniziata una nuova stagione di “maccartismo” che – come sempre avviene – si appresta ad attraversare l’Atlantico verso Est, in direzione dell’Europa. Innanzitutto chi era Joseph McCarthy e che cosa significa la campagna che prese il suo nome nella prima metà degli anni ’50 del secolo scorso? McCarthy era un senatore repubblicano del Wisconsin che divenne il principale protagonista di una dei periodi più bui della democrazia americana nella seconda metà del secolo scorso. Quanto al concetto di “maccartismo”, a costo di sembrare eccessivamente corretti, riproduciamo la definizione che l’Enciclopedia Treccani ha attribuito a questo evento che Eleonor Roosevelt criticò con parole durissime: «È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo Paese abbia mai avuto».

Secondo l’Enciclopedia per “maccartismo” si intende un «atteggiamento politico che ebbe diffusione negli Stati Uniti d’America negli anni intorno al 1950, caratterizzato da un’esasperata contrapposizione nei confronti di persone, gruppi e comportamenti ritenuti sovversivi; fu così chiamato dal nome del senatore J. R. McCarthy (1908-1957), che diresse una commissione per la repressione delle attività antiamericane operando attacchi personali (per mezzo di accuse pubbliche in genere non provate) nei confronti di funzionari governativi, uomini di spettacolo e di cultura, ecc. da lui considerati comunisti e, in quanto tali, responsabili di minare i fondamenti politici e ideologici della società americana. Il termine è rimasto in uso nella polemica politica soprattutto per indicare un clima di sospetto generalizzato (caccia alle streghe) determinato da un anticomunismo ottuso e, alla lunga, controproducente». Soprattutto – ci permettiamo di aggiungere – presunto e quasi mai provato. Diciamo che il procedimento non differiva molto da quello delle nostre procure: si mettevano insieme sospetti, indizi, gogne mediatiche, denunce e delazioni (non c’erano i trojan) per evitare l’ostracismo e il carcere.

Ovviamente anche negli Usa vi era (forse esiste ancora) un Partito Comunista che negli anni ’30 aveva conosciuto una certa attività militante (gli iscritti non furono mai più di 50mila) “coperta” durante il Secondo conflitto dall’alleanza con l’Urss. Ma la Commissione di inchiesta contro le attività anti-americane (vecchio arnese in funzione da decenni al Congresso) intensificò la sua opera quando il senatore McCarthy riuscì, da membro, a diventarne presidente. La Commissione lavorava a pieno ritmo. Alle maggiori università del paese fu chiesto un controllo sui principali libri di testo in uso. McCarthy, sfruttando la psicosi collettiva della sovversione, del complotto e l’isterismo dell’opinione pubblica (un covid ante marcia), riuscì in quattro anni ad indagare sulla posizione di più di tre milioni di impiegati e funzionari di ogni livello del governo federale. Duemila persone si dimisero dal servizio, circa duecento furono allontanate perché la loro lealtà alle istituzioni americane lasciava adito a dubbi.

La furia inquisitoria della Commissione si scatenò sulla Mecca del cinema. Una delle più famose celebrità accusate di attività anti-americane fu l’attore e regista britannico Charlie Chaplin, al quale fu cancellato il visto di rientro, quando quest’ultimo lasciò gli Usa per un soggiorno in Europa nel 1952. Ma la caccia ai comunisti di Hollywood era cominciata diversi anni prima. Già nell’ottobre 1947, Walt Disney aveva testimoniato davanti alla Commissione, denunciando molti autori e registi hollywoodiani. Ma il vero terremoto arrivò quando il famoso regista Elia Kazan, vincitore di tre premi Oscar, accusato di partecipare ad attività eversive, fece i nomi dei colleghi che come lui, anche se per un breve periodo, avevano simpatizzato per il Partito Comunista Americano. In quegli anni molti degli attori interrogati cominciarono a collaborare come Gary Cooper e Ronald Reagan (che era stato fondatore di un sindacato degli attori). Altri, capeggiati dal grande Humphry Bogart, organizzarono sit in e proteste a Washington. La vicenda è descritta nel film Come eravamo di Sydney Pollack (1973).

Il commediografo e poeta tedesco Bertold Brecht, rifugiatosi negli Usa dopo l’avvento del nazismo, fu accusato dalla Commissione di condurre attività anti-americane. Così si rassegnò a ritornare a Berlino Est nella Ddr. Anche l’autore e scrittore Arthur Miller, marito di Marylin Monroe, finì sotto inchiesta, ma in suo aiuto giunse la famiglia Kennedy (Robert Kennedy, allora giovane avvocato, era un collaboratore di McCarthy e John un amico). Per denunciare il clima di persecuzione Miller scrisse un dramma su di un episodio di stregoneria montato ad arte a Salem alcuni secoli prima. In quegli anni, molti produttori, sceneggiatori, attori e registi furono allontanati dall’industria cinematografica soltanto per essersi rifiutati di collaborare con la Commissione, appellandosi al Primo e al Quinto Emendamento della Costituzione (che difendono il diritto di culto, parola e stampa). Particolare clamore suscitò all’epoca il cosiddetto gruppo degli Hollywood Ten, ai quali appartenevano il regista Edward Dmytryk (poi divenuto collaborazionista) e nove sceneggiatori, imprigionati proprio per essersi rifiutati di collaborare con la Commissione.

Difficile calcolare le vittime del maccartismo. Le persone che subirono il carcere furono centinaia, ma decine di migliaia persero il lavoro, semplicemente per essere citate in giudizio dalla Commissione (come accade ora se una donna accusa di essere stata molestata tanti anni prima). In quegli anni, del resto, bastava anche solo essere sospettati di omosessualità per finire nelle “grinfie” del maccartismo. Per quanto riguarda la lista nera di Hollywood, si stima che più di 300 tra attori e registi furono allontanati dall’industria cinematografica e addirittura dagli stessi Stati Uniti. Inoltre, liste di sospetti comunisti erano presenti in quasi tutti gli ambiti lavorativi, nell’università e nelle amministrazioni statali, dove il controllo rasentava l’isterismo collettivo. Ad un certo punto McCarthy (la sua popolarità stava calando da quando le sedute venivano riprese dalle tv e l’opinione pubblica si accorse della sua pochezza) cominciò ad indagare anche sul presidente Ike Eisenhower, il quale, molto seccato, fece circolare le prove di malversazioni del senatore del Wisconsin, che gli procurarono una mozione di censura da parte del Senato.

A conferma di quanto scriveva Péguy: «Non ho mai conosciuto un ladro che si atteggiasse a moralista mentre ho conosciuto dei moralisti che erano dei ladri». Non rieletto. McCarthy si dedicò ad una delle sue attitudini più coltivate (l’alcolismo) che lo portò ben presto alla morte. Per quanto abominevole e negletto, il maccartismo si inseriva nel contesto internazionale della Guerra Fredda, a cui si erano aggiunte nel 1949 la vittoria della Rivoluzione comunista in Cina e l’anno dopo la Guerra di Corea. Intanto l’Urss, nelle zone di sua influenza in Europa, aveva dato corso alle cosiddette democrazie popolari e a regimi totalitari. Che negli Usa ci fossero delle spie sovietiche faceva parte del gioco; ma questa situazione non giustificava affatto la spietata “caccia alle streghe” in cui furono coinvolte anche persone di idee vagamente progressiste. Ma quale giustificazione ha il maccartismo di ritorno (magari con una nuance di sinistra) di questi nostri sciagurati tempi? Chi non la pensa in maniera politicamente corretta – se non rischia la galera – è costretto alle dimissioni perché viene bandito dai suoi colleghi che ne chiedono la rimozione (sia esso un docente, un giornalista, un intellettuale o un manager, un produttore, un attore o un regista). Le notizie che arrivano da Oltreoceano sono allucinanti.

A parte l’accanimento contro le statue allo scopo di riscrivere la storia e di fare espiare alle immagini di pietra o di bronzo le colpe dei personaggi che rappresentano, è ormai proibito non solo avere un’opinione diversa, ma difendere il diritto altrui di averla. Dopo il Me too (una vera e propria caccia al maschio predatore), sta montando una sorta di autorazzismo bianco, che – è solo questione di tempo – arriverà a demonizzare i grandi filosofi greci perché pedofili. Vi sono poi le espressioni del “gender” che non solo negano il sesso come elemento naturale (è così per tutti gli esservi viventi, comprese le piante) ma pretendono che tutti aderiscano a questa versione della biologia, pena la gogna, la morte civile, l’apartheid. Tra un po’ essere eterosessuali sarà considerato una inaccettabile discriminazione in nome di un principio reazionario: quello di Adamo ed Eva nella Genesi.