A “Qualcuno gli avrebbe dovuto impedire di avventurarsi, faceva troppo caldo”
B “Ma no, non era mai successo niente, come si poteva prevedere una sciagura del genere?”
A “Il custode del rifugio aveva avvisato di aver sentito scrosci d’acqua provenire dal ghiacciaio”
B “Non è la prima volta che ghiacciai innocui producono molta acqua di fusione”
A “E allora come te lo spieghi che il magistrato ha aperto un fascicolo contro ignoti per disastro colposo?”
B “Appunto, è contro ignoti, non si sa chi dovrebbe essere il responsabile”
A “Però, se sono state avviate delle indagini, si suppone che delle responsabilità ci siano”
B “No, in casi di questo tipo è un atto dovuto, il magistrato non può ignorare la morte di tante persone in modo così inconcepibile”
A “Se c’era anche un remoto sospetto, e le alte temperature inducevano a sospettare, si doveva vietare l’accesso”
B “Allora dovremmo vietare tutto. Il <<rischio zero>> non esiste nella vita, tanto meno quando si sfida la Natura”.

Questo, più o meno, è il tenore del dibattito scatenato dalla tragedia della Marmolada. Argomento “polarizzante e divisivo” come si usa dire oggi. Una disputa tra i sostenitori delle ragioni della libertà e quelli della sicurezza. Eppure stavolta non è solo questione di filosofia di vita e di sensibilità personale. E’ una questione che attiene alle modalità razionali di eseguire la scelta migliore, avendo a disposizione solo informazioni parziali. E di questo voglio parlare oggi, perché è un problema di capitale importanza che si ripresenterà più e più volte nel corso dei prossimi anni: Fare scelte che riguardano situazioni nuove, mai verificatesi prima nella storia passata e che non dipendono dalla nostra volontà, come invece sarebbe, ad esempio, l’esplorazione di terre sconosciute o la dichiarazione di guerra con armamenti mai usati prima. Su cosa basiamo le nostre decisioni? Se abitiamo ad un piano alto di un condominio, avremo disceso le scale del nostro palazzo migliaia di volte. Sappiamo che non si corre in discesa, che bisogna essere cauti se sono appena state fatte le pulizie e i gradini sono sdrucciolevoli, che i passi devono avere pressappoco la stessa ampiezza per non mettere il piede in fallo. Lo sappiamo così bene che ormai lo abbiamo metabolizzato. Non abbiamo più bisogno di riflettere su come si devono scendere le scale, lo sappiamo fare e tanto ci basta.

Ma se un giorno, scendendo con tutte le precauzioni ormai acquisite, un gradino cedesse e sprofondassimo fino alla rampa inferiore, cosa dovremmo concludere? Che siamo stati imprudenti e stavolta avremmo dovuto ispezionare i gradini? Magari ci poteva essere capitato di sentire qualche giorno prima una vibrazione del pavimento, ma non gli avevamo dato peso, perché poteva essere dovuta al passaggio di un mezzo pesante. Oppure allo scuotimento prodotto da un tuono lontano o da una piccola scossa di terremoto, di quelle che non vengono neanche segnalate dagli osservatori sismologici. E invece era stato un cedimento strutturale… Lo avevamo sentito il segnale. Quindi siamo stati imprudenti a sottovalutarlo? Cosa avremmo dovuto fare? Ebbene c’è una risposta scientificamente ortodossa per rispondere a questa domanda, che prescinde dalle opinioni soggettive. Su cosa basiamo le nostre decisioni? Se affrontiamo una questione completamente nuova, ci dobbiamo basare sullo studio delle caratteristiche della situazione e sulla valutazione logica dei rischi e dei benefici. Se invece si tratta di una questione ormai sperimentata tante volte, ci baseremo sull’esperienza: la memoria degli esiti passati ci fornisce le istruzioni su come comportarci razionalmente nel presente.

Il sentiero al di sotto del ghiacciaio della Marmolada era stato percorso dagli escursionisti per oltre un secolo e mezzo. La raccomandazione ovviamente era di essere cauti, seguire il tracciato, calzare scarpe adatte, non camminare sul ciglio, seguire le orme del capofila. Camminare su una pista ghiacciata comporta sempre qualche pericolo e bisogna essere vigili. Però erano prescrizioni simili a quelle per scendere le scale senza cadere. La mole di dati raccolti nel tempo, inclusa la casistica di incidenti che si saranno sicuramente verificati, ma di natura completamente diversa rispetto al crollo del seracco del 3 luglio scorso, ci diceva che non c’erano solidi motivi per ipotizzare una tale catastrofe. E il caldo anomalo allora? Il caldo anomalo è un fattore rilevante, ma da solo non giustificava la confutazione dell’archivio storico. Ora però le cose sono cambiate. Ora sappiamo che quello che non era mai accaduto, oggi può accadere. E allora dobbiamo aggiornare l’elenco delle informazioni tenendo conto della nuova conoscenza acquisita. Questa non è un’opinione, ma un teorema matematico: il teorema di Bayes. Il teorema di Bayes ci dice come dobbiamo modificare la nostra fiducia nella possibilità che accada un certo evento, sulla base del risultato di una nuova prova.

Se vedessimo un sasso fluttuare inspiegabilmente nell’aria, supporremmo che si tratta di un abbaglio, di uno scherzo, o magari di un fenomeno naturale che contrasta la forza di gravità. In ogni caso concluderemmo che ci deve essere una spiegazione che ancora non conosciamo, ma sicuramente i sassi non possono restare sospesi a mezz’aria. Però, se in un futuro remoto qualcuno riuscisse ad inventare un sistema antigravità, allora la nostra fiducia nell’affermare che vedendo un sasso sospeso si tratti di uno scherzo o una traveggola, non sarebbe più così salda. L’inventore potrebbe essere venuto a fare i suoi esperimenti nel posto in cui ci troviamo… E allora, per limitarci alle Alpi, quali nuove evidenze sperimentali abbiamo che la situazione sta cambiando drasticamente e che dobbiamo aggiornare i nostri registri? Il ritiro dei ghiacciai è un segnale inequivocabile, ma non è un evento improvviso e imprevisto. Procede senza sosta da decenni, anno dopo anno le rocce si scoprono e le lingue di ghiaccio arretrano verso l’alto. Analogamente altri fenomeni legati all’aumento di temperatura, come l’innalzamento della quota a cui sopravvivono alcune piante alpine e alcuni insetti.

Però almeno un altro caso straordinario, e devastante, si è verificato nel recente passato. La tempesta, poi denominata “Vaia”, che il 28 ottobre del 2018 abbattè milioni di alberi in una zona prossima alla Marmolada. All’inizio si parlò di una tromba d’aria anomala ma, ad un’analisi seguente più accurata, risultò essere con certezza una tempesta tropicale. Infatti i venti non seguivano una traiettoria circolare, ma rettilinea, con raffiche oltre i 200 km/h. Ed erano caldi! Si trattava proprio di una tempesta tropicale. Tuttavia, questo genere di fenomeni si verifica a fine estate ai tropici -da cui il nome- seguendo una direttrice est-ovest. “Vaia” invece, pur avendo caratteristiche analoghe, si era scatenata a metà autunno, lontano dai tropici (le Alpi, anche se di poco, sono più vicine al Polo Nord, che all’Equatore) e lungo l’asse sud-nord. Quindi era sì una tempesta tropicale, ma una tempesta tropicale che aveva perduto la strada… Cicerone in Senato rivolto a Catilina esordisce dicendo: Quo usque tandem…? E io gli faccio eco: fino a quando aspetteremo per prendere coscienza e provvedere secondo ragione, come insegna Bayes? Non c’è due senza tre. E tutto lascia presagire che non ci fermeremo a tre.