Con una classica partita di giro senza ritorno, il Governo alla fine è riuscito svuotare l’intero investimento anti dissesto idrogeologico inserito tre anni fa come misura prioritaria nel PNRR a disposizione di tutte le regioni, cioè 1.28 miliardi di euro, impegnandolo per la sola Romagna alluvionata. Sarebbe persino una buona notizia in un Paese normale e con un piano di opere e di interventi in corso – ne servirebbero circa 11mila per circa 30 miliardi di investimenti complessivi realizzabili in una decina di anni – e una struttura tecnica di governo che se ne occupasse, se non fosse che la lotta al dissesto non è nemmeno all’orizzonte, e quelle risorse erano già il fondo del barile. Ciò che era rimasto degli iniziali 8.49 miliardi di euro della prima stesura del PNRR, recuperati dal ritaglio finanziario del piano decennale di Italia sicura e inseriti nel milestone “Prevenzione e contrasto delle conseguenze del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio”. Quell’investimento salva vite umane e beni pubblici e privati, nell’impossibilità di essere trasformati in cantieri, venne man mano ridotto nelle tre revisioni del piano europeo, prima a 2.487 miliardi di euro con il governo Draghi e dopo altri tagli del Governo Meloni a 1.28 miliardi. Il taglieggiamento, nel febbraio 2023, fu persino segnalato nella Relazione della Corte dei Conti, con i magistrati contabili che fecero risuonare un campanello d’allarme sui mancati impegni per il contrasto a frane e alluvioni affidato al Ministero dell’Ambiente, rilevando che “i progetti inseriti non erano in grado di garantire, nemmeno nominalmente, il raggiungimento del target finale di ridurre di almeno un milione e mezzo il numero di persone esposte a rischi di alluvione e a rischi idrologici diretti”.

Oggi, di fronte ai clamorosi rischi di alluvioni e frane moltiplicati dal riscaldamento globale, nel PNRR sparisce la voce “dissesto idrogeologico”. La scelta l’ha annunciata ieri mattina la premier Giorgia Meloni, a Bologna per la firma dell’accordo con il presidente Bonaccini per la quota regionale del Fondo Sviluppo e Coesione, rivendicandola nel pomeriggio in una Forlì sotto la pioggia, accolta da fischi e striscioni e slogan “Basta passerelle” e “Promesse nel fango”, con a fianco la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, con la quale sorvolò in elicottero la pianura alluvionata il 25 maggio scorso. Per circa un’ora hanno discusso faccia a faccia nel municipio, e poi nel summit con i sindaci sugli aiuti economici europei all’Emilia-Romagna. Meloni l’ha ringraziata perché “si era presa delle responsabilità e degli impegni, e quelle risposte sono arrivate con questa revisione del PNRR che ci consente di investire 1.2 miliardi”. E Von der Leyen ha rafforzato l’impegno per i romagnoli: “L’Unione europea è stata dalla vostra parte, e continueremo ad esserlo. Vogliamo aiutarvi a rimettervi in piedi e ad essere più resilienti, e staremo al vostro fianco per tutto il tempo necessario alla vostra ripresa. Gli eventi climatici diventeranno ancora più frequenti, per questo dobbiamo combattere il cambiamento climatico con la prevenzione. Quel che va bene per il clima, va bene anche per l’economia. Tin bota, l’Europa rimane con voi!”.

I sindaci hanno ripercorso quelle giornate drammatiche quando, in quindici giorni, dall’1 al 17 maggio 2023, due eventi estremi in sequenza con due esplosive precipitazioni mai così ravvicinate e mai così insistenti sulla stessa area geografica di 16mila chilometri quadrati tra le province di Bologna, Modena, Ravenna e Forlì-Cesena, fecero cadere tra i 4.5 e i 5 miliardi di metri cubi di acqua, con cumulati di oltre 500 mm. Per giorni, la pianura romagnola venne riportata alla sterminata vasta palude di un tempo, con esondazioni di oltre 50 torrenti e fiumi e un numero impressionante di frane e smottamenti. Le infrastrutture di protezione si rivelarono di burro, tarate per gli eventi del secolo scorso, con le antiche scoline perlopiù cementificate, argini inadeguati, grandi aree di laminazione non realizzate, una dinamica idrologica naturale modificata continuamente per sostenere la produttività e l’industrializzazione, aumentando i rischi. L’Emilia-Romagna è tra le aree europee con le percentuali superiori di territorio potenzialmente allagabile che raggiunge il 45,6% dell’intera regione e la popolazione esposta supera il 60%.
Quelle risorse del PNRR anche Bonaccini, ovviamente, le considera “Benvenute e benedette”, ma sono molte le questioni aperte e irrisolte. Intanto, i danni stimati dalla Regione che superano gli 8.8 miliardi di euro. Poi la certezza che neanche un euro di quegli 1.2 miliardi andrà agli alluvionati poiché possono essere utilizzati solo per la difesa idraulica, il ripristino delle strade e del patrimonio edilizio residenziale pubblico e delle strutture sanitarie, e di infrastrutture sportive e reti energetiche.

Peraltro con la tempistica draconiana del piano europeo: tutti gli appalti aggiudicati entro il 30 giugno 2025 e a fine giugno 2026 il 90% dei lavori completato, e sono state snellite le procedure inserite nell’articolo 50 del Codice degli appalti, ed è stata elevata la soglia per l’affidamento diretto dei lavori a 500mila euro, scelta condivisa con Anac. Nessuna risposta dal governo è poi arrivata su due richieste. Spiega Bonaccini: “La prima è che non è ancora possibile rimborsare i cosiddetti beni mobili, e quando arriva un’alluvione vengono distrutti moto, auto, arredi, mobili. Eppure il governo promise di indennizzare al 100%, come per il terremoto. La seconda è che manca il personale nei comuni per gestire pratiche e procedure”. Mancando una norma di legge che preveda anche il risarcimento dei beni mobili per imprese e famiglie dopo eventi catastrofici, resta nel vento la domanda su chi risarcirà i danni stimati a oltre 4 miliardi? E per le 216 assunzioni per i comuni già previste dall’ordinanza del commissario alla ricostruzione, il generale Francesco Paolo Figliuolo, spiega il presidente della Regione: “Se si va a scorrimento graduatorie, come sembra, temo non si presenterà nessuno o quasi. Siamo lontani da ciò che serve e servirà”.

L’impegno finanziario complessivo sulla carta del governo è stato finora di 4,3 miliardi, inseriti in due decreti legge – 1 giugno 2023 e 5 luglio 2023 -, spalmati su più anni e destinati anche ad altre regioni, e se a Figliuolo è stato affidato un fondo da 2.5 miliardi di euro, ad oggi sono arrivati solo 230 milioni di euro per coprire le spese della prima emergenza e per l’assistenza agli sfollati con l’erogazione da 3 a 5mila euro per ciascun nucleo familiare. E se il generale Figliuolo assicura che “arriveranno le necessarie risorse di parte corrente”, ancora non ci sono cifre. Eppure bisognerebbe correre nelle difese dalle alluvioni. Basterebbe mettere in fila le sole ultime 4 grandi alluvioni dei soli ultimi 16 mesi per far emergere dal fango una escalation impressionante di danni mai vista, che proietta l’Italia in una dimensione sconosciuta: dall’alluvione nelle Marche del 15 settembre 2022 a quella di Ischia il 26 novembre 2022, dalla Romagna dal 1 al 17 maggio 2023 alla Toscana del 3-4 novembre 2023, oltre alle 45 vittime, alle centinaia di feriti, alle decine di migliaia di sfollati, la conta ammonta a oltre 15 miliardi di euro per le 4 ricostruzioni. Quanto la manovra finanziaria 2023.