Un tempo sarebbe passato alle cronache come un bel paradosso, quello dei costruttori edili contro l’avanzata di “cemento & asfalto”, da tempo invece non lo è per nulla. E sono proprio loro, i costruttori edili dell’Ance, con la loro associazione nazionale guidata dalla presidente Federica Brancaccio, a richiamare oggi il governo, e anche le opposizioni, alle loro responsabilità di fronte allo choc drammatico di catastrofi in una Italia largamente vulnerabile e punching ball di siccità e alluvioni, frane ed erosioni costiere, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Mai come oggi, elenca la presidente, “servono urgenti investimenti in opere di prevenzione dal dissesto idrogeologico e dagli effetti del cambiamento climatico, per aumentare la resistenza dell’edilizia ai terremoti, intervenendo con coraggio”.

La convenienza, avverte, è di invertire la spesa per investire con efficacia e in maniera permanente nella protezione e nella riduzione dei rischi incombenti, semplificando sia le troppe competenze sparse nella pubblica amministrazione che tante procedure, rilanciando il dipartimento Casa Italia di Palazzo Chigi, oggi guidato da Luigi Ferrara, e una nuova struttura di missione tecnica sul modello di Italiasicura che definisca velocemente “una nuova programmazione con l’approvazione di un Piano nazionale di prevenzione e di contrasto al dissesto, aggiornando il piano che a maggio 2017 aveva individuato circa 9.000 interventi su tutto il territorio nazionale per un fabbisogno complessivo di circa 29 miliardi di euro”.

Il rapporto

L’Ance ha affidato al Cresme la stesura del corposo rapporto che fotografa “lo stato di rischio del territorio italiano 2023”, facendo emergere le troppe fragilità e i costi stellari delle emergenze da rischi naturali e da catastrofi meteoclimatiche. Curato da Lorenzo Bellicini, lo studio presentato al Ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, rileva lo stato strutturale di predisposizione al rischio della penisola, moltiplicato negli ultimi due decenni dall’estremizzazione climatica. In soli 13 anni, dal 2010 ad oggi, Ance calcola una spesa pubblica nazionale per far fronte ai danni da alluvioni e frane pressoché triplicata. Se dal dopoguerra ad oggi, lo Stato ha sborsato per le emergenze da dissesto idrogeologico complessivamente 358 miliardi di euro, con una media di 4,5 miliardi all’anno, negli ultimi 13 anni la media è salita a 6 miliardi l’anno.

Anche per i dopo-terremoti, la spesa con la sola logica dell’emergenza e della riparazione dei danni ha visto un esborso medio dal dopoguerra di 3,1 miliardi all’anno per un totale di 246 miliardi di euro di cui 208 spesi tra il 1944 e il 2009, e 38 miliardi con 2,7 annui tra il 2010 e il 2023. E oggi siamo di fronte al clamoroso paradosso della spesa in corso per le sole tre ricostruzioni dopo i tre peggiori disastri sismici degli ultimi 14 anni – il sisma de L’Aquila nel 2009 costato 17,4 miliardi, in Emilia nel 2012 costato altri 13 miliardi e in Centro Italia nel 2016-2017 che costerà 23,5 miliardi – che insieme impegnano 53,4 miliardi di euro, e sarebbe più della metà dei 100 miliardi calcolati per un serio piano di prevenzione antisismica nazionale con il rafforzamento di tutta l’edilizia più a rischio nelle aree 1 e 2, però considerato ancora fuori dalla nostra portata e perciò lasciato nel cassetto.

L’Emergenza Nazionale

Che sia l’Italia a rischiare più di tutti lo indica anche il Fondo di Solidarietà dell’Unione europea che negli ultimi 20 anni, rileva Ance, ci vede sul podio del paese maggior beneficiario con oltre 3 miliardi di euro ricevuti, pari a circa il 37% dell’importo totale erogato di 8,2 miliardi per l’intera Unione. E la stessa conta degli eventi alluvionali subiti fa emergere i 120 peggiori con 170 vittime nei soli ultimi 12 anni, con il più devastante che ha colpito la Romagna con costi di 8,8 miliardi. Su dati Ispra lo studio rileva 2,4 milioni di italiani in aree a rischio elevato – con 1 milione di famiglie, 632mila edifici e 226mila imprese -, quasi 7 milioni di persone esposte a rischio medio, e 12,3 milioni a rischio moderato.

L’aumento degli stati di emergenza nazionali sono un altro indicatore. Dal 2014 sono stati decretati dal Consiglio dei Ministri ben 148 stati di emergenza nazionale, con 24 nei soli ultimi 12 mesi dopo eventi classificati “nazionali” dalla Protezione Civile sia per dimensione geografica che per numero di vittime e di danni. Sono 2 al mese! Ma basterebbe mettere in fila le sole ultime 4 grandi alluvioni con frane che ci hanno colpito nei soli ultimi 14 mesi per far emergere dal fango altri dati impietosi di una escalation impressionante che corre in parallelo con l’aumento del riscaldamento globale e che cambia lo scenario di rischio proiettando l’Italia in una dimensione sconosciuta: l’alluvione nelle Marche del 15 settembre 2022, nell’isola d’Ischia il 26 novembre 2022, nella Romagna dal 1 al 17 maggio 2023, e dal 3 novembre 2023 nella Toscana centrale. Hanno lasciato 45 vittime, centinaia di feriti, decine di migliaia di sfollati, e danni complessivi per oltre 15 miliardi di euro. Quanto la manovra finanziaria 2023.

I piani regolatori

L’Ance, in sintonia con l’ordine nazionale degli ingegneri, rilancia oggi la richiesta di forti investimenti sul versante prevenzione, perché anche dal nuovo PNRR rileva risorse per il rischio idrogeologico in calo e per 1,53 miliardi, di cui 1,2 miliardi destinati alla sola alluvione in Emilia Romagna. Chiede di far partire opere utili, quelle che salvano vite umane, proteggono meglio le aree urbane e i sistemi produttivi, e tutelano dal collasso anche i bilanci dello Stato. Si tratterebbe di invertire la spesa, moltiplicando i cantieri più utili per la sicurezza di milioni di italiani. Gli analisti del Cresme, sulla base delle rilevazioni annuali dell’Ispra, rilevano anche la positiva ma leggera inversione di tendenza nel iper-consumo di suolo che caratterizza il nostro Paese. È sempre in costante crescita, ma con minori percentuali di occupazione di suoli vergini, passati da 240 kmq impermeabilizzati ogni anno nel periodo del massimo sviluppo dell’abusivismo nazionale 1960-1990 alla media di 60 kmq tra il 2016 e il 2022. Una diminuzione dovuta sia alla presenza di piani regolatori con maggiori vincoli, sia alla riduzione della deregulation urbanistica collegata alle sanatorie edilizie, sia alla diminuzione della domanda di nuovi spazi nello sviluppo urbano. E sono i costruttori a indicare la nuova strada del recupero e della riqualificazione dell’edilizia esistente.

La nuova economia della resilienza

È più conveniente investire nella nuova urbanistica “per le città spugna”, nella rigenerazione urbana e nella de-impermeabilizzazione, e su politiche “medio-lunghe” fatte di grandi e piccole opere per il contrasto al dissesto idrogeologico. Una parte dello studio AnceCresme è dedicata anche al problema idrico, con dati che dimostrano l’elevata dispersione dell’acqua che, nella serie storica dello spreco, è passata dal 32,6% del 1999 al 42,2% del 2020. Un aumento costante e ineluttabile per ogni utilizzo, senza o con scarsi investimenti in manutenzioni e nuove reti, che produce un quadro destinato a peggiorare. Insomma, per l’Ance serve mai come oggi il passaggio alla nuova “economia della resilienza”. Un approccio insieme da imprenditori e da cittadini, dove giocano un ruolo anche l’etica, la sostenibilità e la qualità dei progetti e del costruito.