Oggi, a Ravenna, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, terrà un discorso sull’economia di Dante nel quadro delle iniziative per i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta. Parteciperà pure il Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che in questi mesi ha scritto e parlato molto su Dante. È importante che un banchiere centrale unisca alla competenza economica e finanziaria anche interessi umanistici, come del resto fa pure il presidente dell’Assobancaria, Patuelli.

Si tratta di un insieme di interessi e curiosità umanistici, letterari e filosofici di cui, in passato, hanno dato prova banchieri di grande livello culturale come Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia. All’estero un grande cultore di Dante è l’ex presidente della Bce, il francese Jean -Claude Trichet, ma lo è pure un molto stimato ex componente dell’Esecutivo della Banca centrale, il tedesco Otmar Issing, che diede prova del livello della conoscenza della Commedia, oltreché della lingua italiana, osservando che il Poeta aveva scritto, nel celeberrimo verso su Ulisse, “canoscenza” e non “conoscenza”.

Naturalmente, affrontare il tema dell’economia di Dante o in Dante non è affatto facile, trattandosi di opere, in particolare la Commedia, nelle quali tutto si tiene; e ciò, al di là degli oltre settecento anni trascorsi che consentono di attualizzare solo principi generali. Nell’affrontare, pur nella forzatura dello scorporo delle concezioni dantesche per materie, i temi che hanno riflessi sull’economia, non si potrà non toccare la condizione dei “barattieri”, coloro che nell’esercizio di un incarico pubblico, si erano appropriati di beni della collettività. E ciò, sia perché Dante colloca tali soggetti nella V Bolgia, nel Canto XXI dell’Inferno e li vede costretti a subire la pena del vivere nella pece ardente, sia, e soprattutto, perché egli stesso, titolare di un’alta carica pubblica e ambasciatore di Firenze, fu accusato e condannato per “baratteria”, oltreché per frode, falsità, dolo, finanche per pederastia e una serie di altri reati in aggiunta a una multa di 5 mila fiorini.

Ma soprattutto gli furono comminati l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’esilio, alla fine, del pari perpetuo («il duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale»), con la minaccia che, se fosse ritornato nella sua città, sarebbe stato condannato a morte. Le accuse non erano affatto fondate. Si trattava di una manovra politica per avere, Dante, sostenuto i Guelfi Bianchi, ma ebbero la meglio i Guelfi Neri legati al Papato e le conseguenze furono la costruzione di accuse inventate contro una personalità di rilievo. «De te fabula narratur» con riferimento all’oggi, anche se, nel caso specifico, non si tratta di una “fabula”? Sia chiaro: ciò non significa di certo volere indebolire la lotta contro la corruzione, il peculato, la frode, etc. Anzi, questa va accentuata. Ma non sono mancati anche oggi, e prima di oggi, casi che potrebbero richiamare la condanna di Dante, anche se con moventi e protagonisti diversi.

Nella stessa Banca d’Italia, andando a ritroso naturalmente riferendosi a personaggi non del calibro di Dante, si trova la condanna a morte dell’allora Governatore, Vincenzo Azzolini, ingiustamente accusato di aver voluto consegnare ai tedeschi in fuga dall’Italia verso la fine della seconda Guerra mondiale le riserve auree dell’Istituto delle quali, invece, l’esercito germanico si appropriò “manu militari”, con i mitra spianati. Dopo un po’, fu riscontrata l’infondatezza dell’accusa e Azzolini fu completamente prosciolto. Anche le vicende del 2005, delle Opa e delle decisioni dell’Istituto, oggi richiedono un riesame, se non altro in omaggio alla verità storica, “sine ira ac studio”, e alla conoscenza di quelle forze, mai nettamente apparse, che si mossero perché volevano una Banca di altro tipo, per usare un eufemismo, mentre oggi moltissimi ricordano con rimpianto proprio la Banca che, allora, ad alcuni non stava bene.

Ma se proprio si vuole trovare un riferimento dantesco stimolato dall’attualità, allora è alla figura di San Francesco («Nacque al mondo un Sole») che bisogna rifarsi, al rapporto con la natura ora di assoluta attualità, mentre è all’ordine del giorno la transizione ecologica e si presentano i gravissimi problemi dell’inquinamento ambientale e del surriscaldamento del pianeta. E pure al valore del dono che si trova in personaggi solo apparentemente minori, quale Romeo da Villanova, un potente Ministro francese assolutamente onesto, del pari accusato ingiustamente di essersi appropriato, come Dante, di denaro pubblico, il quale, per reazione, si spoglia di tutte le cariche e dei beni, che dona, e il Poeta scrive «se ‘l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto, assai lo loda e più lo loderebbe».