Da un po’ di tempo si assiste allo sviluppo della scienza dei cittadini per intendere un’ampia gamma di attività scientifiche che implicano la partecipazione del grande pubblico nelle scienze ambientali, ecologiche e sanitarie e biomediche. Ci sono persone che conducono ricerche biologiche, soggetti che contribuiscono con dati sanitari ad integrare progetti scientifici oppure cercare di essere arruolati come pazienti nella ricerca biomedica. Ma esiste una particolare forma di “scienza civica biomedica”: quella sperimentata su stessi, soggetti che cercano di promuovere terapie per la propria condizione, spesso replicando terapie sperimentali, ma non ancora disponibili, oppure non sufficientemente validate, nella propria casa.

Ad esempio, come avviene nella stimolazione cerebrale “fai da te”, dove individui che soffrono di depressione si costruiscono cuffie elettriche utilizzando batterie da nove volt, imitando una tecnica neuroscientifica sperimentale utilizzata nei laboratori scientifici, oppure quelli che cercano a farsi un trapianto fecale fai-da-te, in quanto affetti da disturbi intestinali dovuti alla presenza del batterio C. difficile, che prelevano le feci da donatori e le trapiantano in loro stessi con l’aiuto di frullatori e clisteri, imitando ricerche di laboratorio. Ma certamente il settore dove l’ascesa della medicina fai-da-te, fortemente alimentata da Internet, è quella che riguarda la ricerca di cure miracolose per il cancro, le diete, la longevità, la performance atletica e sportiva. Se cerchiamo nel database scientifico PubMed le parole chiave “diet & health” (dieta e salute) troviamo che negli ultimi 5 anni sono stati pubblicati circa 80.000 articoli, nel 2017 erano solo 10.000, quasi 10 volte di più in cinque anni! È evidente che molte di queste ricerche siano conseguenza di una spinta economica importante dovuta alla possibile commercializzazione di prodotti con qualche effetto clinico. Ma bisogna fare attenzione perché molto spesso il contenuto di queste ricerche è esplorativo, che necessita di ulteriori sperimentazioni e conferme prima di un suo impiego clinico. È possibile trovare oggi in rete liste di prodotti naturali o pseudotali denominati “superfood” che proteggono dal cancro, che limitano l’invecchiamento e fanno dimagrire.

A questo si aggiunge poi la nutrigenomica, che si propone attraverso lo studio del genoma individuale di suggerire la dieta adatta per quella persona (nutrizione personalizzata). Anche in questo campo non vi sono evidenze scientifiche sufficienti per dimostrarne la validità e l’efficacia clinica. Un recente studio clinico accurato che ha analizzato diverse varianti genetiche di associate alla risposta metabolica ai grassi e zuccheri nella dieta di 300 persone per almeno 12 settimane di diete accurate e ben definite e appositamente studiate per ridurre il peso corporeo, ha permesso di dimostrare che i geni non influenzavano in modo significativo la risposta alla dieta e che quindi le diete personalizzate su base genomica sembrano essere una sorte di “genoscopo” piuttosto che un test di utilità clinica. La nutrigenetica in futuro dovrà essere implementata dallo studio di numerosi geni e soprattutto di quelli che rispondono ai micronutrienti, agli orari dei pasti (mangiare una pizza a mezzogiorno non è la stessa che mangiarla a mezzanotte!), ai tipi di carboidrati e grassi ingeriti e a molte altre variabili. Ma questo comporta che ogni variabile aggiuntiva introdotta, riduce il “peso” statistico della genetica per assegnare una dieta “ottimale”. La stragrande maggioranza dei geni associati all’obesità è espressa principalmente nel cervello e si ritiene che eserciti i suoi effetti attraverso il loro ruolo nella percezione dei nutrienti, nella segnalazione della ricompensa alimentare e in altri processi non direttamente correlati alla digestione. Ciò significa che molti di questi processi non sono completamente influenzati dalla composizione della dieta, ma complesse interazioni geni-ambiente-comportamento che richiedono molto di più della semplice genetica, ma anche dati di proteomica (analisi delle proteine) di metabolomica (analisi dei metaboliti), e del microbioma (dei microrganismi che vivono nel nostro intestino, nello stomaco, nella bocca, sulla pelle).

Sfortunatamente, al momento non esiste una soluzione magica di biohacking quando si tratta di perdere peso. L’assunzione fai da te come i test genetici per la dieta non sono soltanto controindicativi, ma anche da sconsigliare per i danni che potrebbero arrecare. Un intervento dietetico per dimagrire o per migliorare il proprio stato di salute deve essere effettuato sotto controllo medico di un buon medico dietologo o di un genetista competente che operi in una struttura ospedaliera con buona reputazione. I risultati della ricerca scientifica necessitano di studi accurati, ripetuti, ampiamente confermati e anche integrati da altri metodi e procedure, prima di essere considerati conclusivi. Questo è un processo lento, che necessita di molta cautela nella divulgazione al grande pubblico. Il rischio è generare false convinzioni, confusione, ansia, e spesso smarrimento con il rischio di far perdere la fiducia nella scienza. Un recente sondaggio inglese ha dimostrato che solo il 10% del pubblico britannico si descriverebbe come “fiducioso e coinvolto” nella scienza, compresi gli studi clinici. Questo significa attribuire al ricercatore una enorme responsabilità: informare senza disorientare, comunicare per motivare, sensibilizzare, orientare scelte e investimenti.

La continua esposizione a contenuti scientifici, la spettacolarizzazione dei dibattiti tra scienziati, l’ansia generata dall’andamento ondivago di ciò che potrebbe, dal grande pubblico, essere percepita come “soluzione”, porta con sé a volte, un decremento della fiducia negli sforzi della ricerca. Abbiamo la necessità di formare ricercatori capaci di essere ascoltatori eloquenti, comprensivi e adattivi ai bisogni del pubblico piuttosto che superiori e inflessibili. In particolar modo in questo così particolare momento storico, in cui giovani ricercatori devono adattarsi a nuove modalità di lavoro da remoto limitando il consolidamento di relazioni fra colleghi e lo scambio scientifico così funzionale ai successi di ogni progetto. Naturalmente, un ragionamento analogo può essere fatto anche per i politici e i commentatori improvvisati di scienza, che solo perché hanno una laurea a volte si considerano “esperti” di vaccini, di RNA, di DNA e di biotecnologia. Le cellule vanno osservate al microscopio, non su Instagram. La partita in gioco è importante, è fondamentale. Gli effetti sulle generazioni a venire scarsamente misurabili: questo lo dimostrano ogni giorno le domande che il pubblico rivolge agli scienziati. Quale vaccino fare? A che serve il vaccino se poi non funziona con le varianti? Siamo diventati cavie delle multinazionali? È opportuno che gli scienziati espandano la portata del loro lavoro, aumentando il valore sociale. Lo scopo della ricerca scientifica non è solo quello di acquisire nuove conoscenze, ma anche di utilizzarle a vantaggio di tutti i settori della società. Il coinvolgimento del pubblico non solo rafforza la fiducia del pubblico nella scienza, ma serve in ultima analisi ad aumentare la consapevolezza e l’educazione alla scienza in modo tale da essere reciprocamente vantaggioso per tutte le parti interessate. Come affermava Darwin, “la scienza è anche il come e il perché”. Ma questa richiede competenza e professionalità.

Giuseppe Novelli

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