Manca un piano concreto per il futuro dell’ex Ilva
Dimissioni Bitetti, Taranto rischia il collasso: storia di un disastro annunciato
Le dimissioni del sindaco di Taranto, Bitetti, non rientrano in un banale approccio mediatico: non è un atto mirato solo a produrre un’immagine diversa del rapporto tra l’amministrazione comunale e i cittadini, un’immagine diversa da un passato in cui il Comune di Taranto ha solo inseguito le scelte senza forse neppure capirle. Non credo, perché Bitetti sa bene che questa è sicuramente la fase più delicata di Taranto, del vasto hinterland che grava sulla città e della capacità del nostro Paese di essere – e rimanere nel tempo – attore nella definizione delle strategie legate alla produzione di acciaio.
Forse Bitetti è il primo cittadino della città di Taranto che – dopo i governi Conte I e II, dopo l’esperienza Draghi e dopo circa tre anni dell’esecutivo Meloni – comprende un elemento: “il fattore tempo” non può più essere invocato o utilizzato per “rinviare”, per “illudere”, per evitare cioè un impegno obbligato e non rinviabile dello Stato. Più volte ho prospettato le uniche soluzioni accettabili: inserire nel bilancio dello Stato un fondo di 4 miliardi per il risanamento funzionale dell’impianto, sia per quanto riguarda la componente ambientale, sia per quanto concerne le caratteristiche tecnologiche dell’impianto stesso; affidare la gestione del centro, per almeno un quinquennio, a un sistema caratterizzato da un apposito partenariato pubblico-privato; prevedere una rivisitazione funzionale dei sistemi logistici di accesso all’impianto (porto, reti ferroviarie e autostradali); puntare sulla riqualificazione funzionale dell’hinterland con uno stanziamento aggiuntivo di 1,2 miliardi di euro; identificare una cassa integrazione guadagni supportata da un’apposita norma.
Bitetti sa benissimo che se il governo adesso non dovesse prevedere per il 2026 una disponibilità di 5,2 miliardi di euro per garantire direttamente l’intero processo di bonifica ambientale, un processo propedeutico a qualsiasi coinvolgimento di soggetti privati nella gestione del centro siderurgico, automaticamente prenderebbe corpo un irreversibile processo di chiusura: di fronte a un simile dramma, l’unico responsabile nella gestione del Comune potrebbe essere solo un commissario imposto e non un soggetto eletto democraticamente. Non è gratuito terrorismo mediatico, perché per la prima volta è accompagnato da un atto forte e incisivo come quello delle dimissioni di un sindaco appena eletto; tuttavia penso sia un misurabile avvertimento per un governo che – necessariamente – deve affrontare questa emergenza non garantendo coperture semestrali di 320 o 280 milioni di euro, ma attraverso impegni adeguati e, soprattutto, integrali. Cioè risanando davvero un contesto che, una volta reinventato integralmente, può essere oggetto di una gara internazionale in grado di coinvolgere interessi di privati.
L’esecutivo ne è consapevole: oggi la forza di Taranto e del sindaco Bitetti sta proprio nel fatto che una bomba sociale, provocata dal licenziamento di 25mila unità lavorative praticamente nel penultimo anno di legislatura, fa paura. E sicuramente incrinerebbe il bilancio della prima esperienza di una compagine politica di destra.
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