«Pensiamo all’oggi: io non so cosa succederà, temo il peggio ma mi auguro di essere smentita, con il ritiro delle forze dall’Afghanistan, comprese le nostre. Io non sono così sicura che non stiamo riconsegnando il povero Afghanistan, dopo vent’anni, a forze estremiste, integraliste, talebane». E ancora: «La preoccupazione di tornare indietro sui diritti umani per tutti, non solo le donne, è davvero palpabile. Evidentemente procederemo con la conclusione, già decisa, della missione in Afghanistan, nonostante le preoccupazioni espresse dallo stesso Governo in carica di Ghani. Noi però non possiamo abbandonare questo terreno. E una delle proposte che proprio le donne parte della società civile – antiche amiche che ho imparato a conoscere e stimare quando ho vissuto sei mesi in quel paese – hanno fatto al Parlamento europeo è stata l’istituzione di una commissione internazionale di inchiesta, similarmente ad altre che ci sono in altre parti, di modo da avere ancora testimonianza di ciò che avviene in loco a difesa di quanto è stato conquistato fin qui, che non dovrebbe essere cancellato. Questa proposta ha trovato nel Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra, che si concluderà il 15 luglio prossimo, vari sostegni. Per il ruolo avuto dall’Italia fino a questo momento auspicherei che, come si dice in gergo, l’Italia fosse il pen holder di questa risoluzione, che la Norvegia si è impegnata a portare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per gli afghani e per noi stessi penso che sarebbe utile e un buon passaggio che questa iniziativa prenda piede su spinta del Governo italiano, insieme con gli altri, di modo da poter fare la nostra parte».

Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea per le emergenze umanitarie, leader storica dei Radicali e oggi senatrice, aveva esternato la sua preoccupazione in una intervista a questo giornale l’aprile scorso, a partire da quanto aveva sostenuto in Aula a Palazzo Madama. Quattro mesi dopo, i talebani hanno proclamato l’Emirato islamico in Afghanistan.

“Noi non contiamo perché siamo nati in Afghanistan, scompariremo lentamente dalla storia. A nessuno importa di noi”. Sono le parole pronunciate a fatica, tra le lacrime, da una ragazza afghana dopo il ritorno dei talebani nel Paese. Non è un possente j’accuse contro l’Occidente in fuga da Kabul?
Le responsabilità vanno però anche un po’ condivise. Perché io non amo questa fuga disorganizzata e confusa che sta avvenendo in Afghanistan, ma è anche vero che quel Paese non si è veramente dotato, in tutti questi anni, di strutture minimamente credibili. Anni e anni di training al cosiddetto esercito afghano, a forze regolari che si sono squagliate come neve al sole. Fino al 2005 l’entusiasmo di un sistema che stava cambiando era palese, cosa sia successo dopo io non lo so. Rimane il fatto che tutti gli investimenti miliardari per dare all’Afghanistan un esercito come dio comanda o strutture amministrative minimamente efficienti, in realtà sono evaporati, o sono finiti nelle tasche di qualche signore della guerra e dell’oppio o a qualche improvvisato e improbabile capo di governo. È chiaro che questa è una grossissima tegola sulla testa di Biden, a pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca.

Quello del presidente Usa è un fallimento politico, prim’ancora che militare?
Direi proprio di sì. “America is back”, il suo slogan elettorale, che evocava un’America più cooperativa e soprattutto più competente sul terreno delle relazioni internazionali, è rimasto tale. Il livello di impreparazione nella gestione del ritiro dall’Afghanistan è impressionante.

Perché?
Innanzitutto l’annuncio del ritiro dei soldati americani, fatto molto presto, ha certamente dato la possibilità ai talebani di organizzarsi. Se glielo dici quattro mesi prima… E poi c’è la “sorpresa” di questo esercito che avevamo addestrato, organizzato, armato, che al primo colpo sparisce, si dissolve. Infine si scopre che non c’è neanche una parvenza di “Piano B” per l’evacuazione. Da questo punto di vista è una vera débacle. Con conseguenze che possiamo appena immaginare. A partire dall’allineamento del nuovo potere afghano a attori esterni che non sono certo rintracciabili a Occidente.

Vale a dire?
Tutte le ambasciate sono chiuse, tutti sono venuti via, meno, guarda caso, Russia, Turchia e Cina. Dal punto di vista geopolitico e geostrategico, al di là dell’enorme questione umanitaria, mi sembra un palese allineamento con l’altro schieramento.

I leader talebani hanno proclamato l’Emirato islamico, aggiungendo in “serenità”. Ma per le donne afghane…
L’interrompo subito. Il problema ormai non sono più neanche solo le donne. Sono donne, uomini, bambini. Per esempio, tutti quelli che hanno cooperato con la forza internazionale saranno visti e trattati come dei traditori, e cercheranno di scappare terrorizzati. Che poi le donne siano tornate vent’anni addietro questo lo sappiamo tutti. In questa occasione, però, sono donne e uomini afghani che pagheranno l’aver cooperato o solamente creduto a un Afghanistan altro da quello retto da una dittatura della sharia. Già ci sono migliaia in coda per andare in Tagikistan e tutti gli hazāra cercare un rifugio in Iran.

Adesso tutti sembrano essersi risvegliati. Convocano Consigli di Sicurezza straordinari, vertici, altrettanto straordinari, dei ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione europea o della Nato.
Nel mio piccolo, un mese fa, intervenendo al Senato nel dibattito col presidente Draghi e successivamente nel dibattito sul decreto missioni, avevo cercato di attirare l’attenzione su questa polveriera. Nessuno mi si è filata. Alcuni dicevano ma no, i talebani ci metteranno tempo per organizzarsi. Ci metteranno tempo: 3 giorni! Il presidente Ashraf Ghani è volato via su un elicottero e gli altri cercano di salvare la pelle. Vediamo poi di non sorprenderci se tra qualche tempo vedremo migliaia di afghani cercare riparo in Europa. Quanto all’Italia, segnalo che la comunità afghana è la terza per quantità. Una vera débacle. Il fatto che neanche i servizi d’intelligence più efficienti, si fa per dire, non avessero capito la debolezza dell’esercito afghano a cui pure avevano fatto training per tanti anni, la dice lunga della non comprensione della situazione.

Una dèbacle che ha avuto dei costi umani impressionanti. Secondo il report del Watson Institute, 241mila persone sono morte come conseguenza diretta di questa guerra. Questa cifra non include i decessi causati da malattie, perdita di accesso a cibo, acqua, infrastrutture o altre conseguenze indirette della guerra…
Io non so quante sarebbero state sotto i talebani. Perché adesso, prima di sparare giudizi tranchant, bisognerebbe pure tornare all’atmosfera del ’97, quando arrivarono i talebani, al 2001 le Torri Gemelle etc. Quei morti sono un peso enorme, ma sotto i talebani nessuno sa quanti ne sarebbero morti. In ogni caso, dopo vent’anni viene fuori che stavamo lì ma non avevamo capito niente.

Da più parti, mi riferisco ad esempio al nostro Commissario europeo, Paolo Gentiloni, si incita l’Europa e la comunità internazionale a organizzare corridoi umanitari. È questa la vis per salvare il salvabile?
Non lo so, davvero non lo so. Perché i corridoi umanitari andrebbero negoziati con i talebani, e non è roba da poco. Già all’aeroporto di Kabul gli aerei atterrano o decollano negoziando con i talebani. I quali probabilmente avranno anche l’interesse, nei primi giorni, a mostrarsi moderati. Salvo che io non ci credo. Io talebani “moderati” non li ho mai visti né conosciuti. Ho letto di amnistie ai funzionari pubblici, e forse avranno l’interesse di essere riconosciuti dalla comunità internazionale, cosa che volevano già all’epoca e riuscimmo a bloccare: solo gli Emirati Arabi Uniti li avevano riconosciuti come governo. Vatti a fidare dei talebani…

Fallimento fa rima con tradimento. L’Occidente, per restare alla storia recente, ha tradito i curdi siriani che pure avevano combattuto eroicamente contro l’Isis. Adesso ha tradito le tante i tanti della società civile afghana avevano creduto davvero ad una democratizzazione e una modernizzazione del loro Paese. Ma un Occidente che tradisce i propri alleati, che credibilità ha nel mondo?
Innanzitutto, io sono convinta che questa sia una grossissima tegola sulla testa di Biden, a pochi mesi dal suo insediamento. Insisto su questo aspetto: Biden ha fatto tutta la campagna elettorale con la parola d’ordine, che era anche una promessa, “America is back”. E non mi pare che sia tanto “back”. È stato Trump a fissare le regole e i tempi del ritiro, ma era veramente da ingenui pensare che l’annuncio, urbi et orbi, di un ritiro così significativo militarmente, non avrebbe portato i talebani a preparare un’offensiva per il controllo totale del Paese. Per Biden è certamente un disastro, di merito e d’immagine, senza precedenti o quasi. Tant’è che molti ricordano, impropriamente perché le situazioni sono diverse, la fuga da Saigon. Io penso che sarà molto difficile non associare questo disastro alla presidenza Biden e all’ennesima occasione mancata per la politica estera europea.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.